di Silvia Mazzariol *

Come ambito di studio universitario ho fatto la scelta di “Beni Culturali” assecondando la passione per la storia dell’arte nata al liceo, e ascoltando quella parte di me che si è sempre interrogata sulla natura umana e le sue forme di espressione. Quello che non sapevo quando ho iniziato l’università era che Dio mi avrebbe raggiunta proprio lì, durante le lezioni, nello studio, nelle pagine dei libri.
Ho scoperto durante questi anni che lo studio sarebbe potuto diventare parte integrante del mio cammino personale, perché faceva nascere in me moltissime domande: studiare storia dell’arte significa stare continuamente davanti alla ricerca di senso che spinge l’uomo, e di conseguenza interrogarmi sul senso che io attribuisco alla vita. Lasciarsi toccare da ciò che studio dà un sapore tutto nuovo a quello che è il mio dovere, a un passaggio che avverto un po’ come “obbligatorio”, ma che se vissuto in un certo modo può davvero essere occasione di crescita e cammino.
Ho imparato che il mio studio e la mia passione potevano essere condivisi e donati agli altri. Un giorno parlando con un professore di storia dell’arte gli ho raccontato dei momenti in cui studio opere di arte sacra e mi accorgo che Dio mi sta parlando attraverso queste, ma non lo racconto per paura di essere presa poco sul serio o di non rispettare i parametri “accademici”. Davanti a questo mio timore quel professore mi ha detto: “noi storici dell’arte cristiani abbiamo l’obbligo di restituire alle opere la loro identità sacra”. Questa frase ha cambiato il mio modo di studiare, ha dato un senso nuovo al mio studio, ha aperto una possibilità che non avevo considerato prima di quel momento, e cioè che proprio la storia dell’arte potesse diventare uno strumento di testimonianza, un linguaggio per parlare di Dio. L’ho capito davvero durante un campo estivo a Roma con i ragazzi delle superiori, quando li ho accompagnati nella chiesa di San Luigi dei Francesi e ho spiegato loro le tele di San Matteo di Caravaggio: non ho parlato solo della loro storia, ma gli ho anche mostrato che quelle opere stavano parlando proprio a noi, ragazzi e giovani che insieme provano a camminare nella vita cristiana. In quel momento ho sentito, come mai prima, di essere nel posto giusto: stare davanti a dei ragazzi, provando a raccontare la bellezza della fede cristiana attraverso le opere d’arte mi sembrava la cosa più adatta a me.
Vivo momenti in cui la voce più forte è quella dei dubbi e delle paure. Mi ritrovo spesso in mezzo a persone che non vivono un’esperienza di fede, e in me vince la paura di essere una voce fuori dal coro, paura di non essere capita, ma anche la paura che gli altri possano dire qualcosa che mi metta in crisi: davanti a questa realtà mi sento poco coraggiosa, a volte mi sembra di non fare tutto quello che dovrei per portare la mia testimonianza. Però penso che evidentemente Dio mi vuole proprio lì, in un territorio “ostile”, e che un giorno forse mi aiuterà a trovare quel coraggio che mi manca per raccontare di un Dio che mi regala un senso, una meta, e che esiste anche per giovani come me, anche se il mondo sembra spingerci nella direzione opposta. Penso anche che non sia sempre necessario testimoniare con le parole. In questi anni di università ad esempio mi sono trovata spesso a condividere con i miei colleghi materiale di studio, e restavano sempre stupiti dal fatto che lo facessi in modo gratuito, anche senza conoscerli: rendermi conto del loro stupore mi ha fatto capire quanto un gesto così semplice, per me banale, possa essere testimonianza di uno stile di gratuità e fraternità, lo stile che io ho imparato in oratorio facendo animazione, uno stile cristiano (e salesiano) che mi ha insegnato a dare senza la certezza di una ricompensa, uno stile che potrebbe scardinare un sistema universitario che ci vuole in competizione, a favore di un mondo in cui si cresce nella condivisione.
Spesso mi capita di pensare che il mondo abbia bisogno di altro, che davanti al grido dell’umanità che soffre io non abbia niente da offrire, e che avrei potuto scegliere qualcosa di più “utile” alla società. Questa è una paura difficile da combattere e che mi costringe continuamente a cercare il senso profondo di quello che sto facendo. Quando rimango bloccata su questo pensiero mi ripeto che questa mia passione per l’arte è un dono di Dio, mi ripeto che Dio mi ha voluta così e provo ad ascoltare (anche se non è affatto semplice) quella parte del cuore consapevole che Dio non vuole nient’altro se non Silvia, con passioni, talenti e difetti.
In questi momenti rileggo questi versi (che ho letto commentati da Enrico Galiano nel libro L’arte di sbagliare alla grande, un libro che mi ha tanto aiutata in un periodo di scelte):

“Sempre natura, se fortuna trova
discorde a sé, com’ogne altra semente
fuor di sua region, fa mala prova.
E se ‘l mondo là giù ponesse mente
al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente.
Ma voi torcete a la religione
tal che fia nato a cingersi la spada,
e fate re di tal ch’è da sermone;
onde la traccia vostra è fuor di strada”
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Par. VIII, 139-148)

In questi versi Dante parla di come per fiorire sia necessario ascoltare e assecondare la propria natura, la propria inclinazione: credo che questo significhi che per offrire al mondo quello che abbiamo da offrire, dobbiamo cogliere la nostra inclinazione, capire cosa siamo chiamati ad essere, provare ad intuire il sogno di Dio per noi, per diventare davvero noi stessi: in poche parole, per essere felici. In questo cammino gioca un ruolo davvero importante la fiducia, verso Dio, verso me stessa, verso le persone che mi accompagnano e mi aiutano a rileggere quello che vivo: senza un accompagnamento costante, tante delle consapevolezze che ho oggi su di me e sul mio cammino non sarebbero possibili, e non sarei stata in grado di riconoscere tutte le volte che Dio si è fatto presente nella mia vita, nei momenti grandi e nelle piccole sfide quotidiane. Negli ultimi tre anni, molte volte Dio è arrivato a prendermi proprio tra le pagine dei libri, quando cercavo di allontanarmi: Dio con me ha trovato la strada per raggiungermi, per venire a riprendermi ogni volta che i dubbi mi assalgono, ogni volta che il suo amore diventa una promessa così bella da far paura. Ho imparato a riconoscere un Dio che si rende incredibilmente concreto, tangibile, vicino: nelle mie giornate, in quello che studio, nelle persone che incontro… Arriva a ricordarmi che non c’è bisogno di scappare, e che la felicità esiste anche per me.

* 22 anni, studia Beni Culturali presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Dalle superiori vive il suo cammino nell’MGS Triveneto ed è impegnata nell’oratorio di Conegliano.