Il 12 febbraio 1980, alle ore 12,00, dopo aver appena terminato una lezione universitaria alla facoltà di Scienze Politiche dell’università La Sapienza di Roma, Vittorio Bachelet veniva ucciso da sette colpi di proiettile, sparati da due brigatisti, nello sgomento generale e particolare della sua assistente, con la quale il professor Bachelet stava parlando sulla scala che portava alle aule docenti.
Una voce scomoda la sua , messa a tacere pochi anni dopo quella dell’amico Aldo Moro, perché coerente, perché profondamente legata ai principi di dignità della persona , dell’ascolto e della sintesi tra i differenti punti di vista esistenti, perché salda su una fede e una speranza nel cambiamento.
Un giovane universitario divenuto poi docente, consigliere comunale, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura.
Un giovane formatosi nel tempo universitario trascorso in FUCI al valore della mediazione e del dialogo, ricoprendo il ruolo di condirettore della rivista federativa ‘Ricerca’ e curando con essa il contributo culturale di idee e di pensiero che la federazione riversava nella società.
In ricordo di Vittorio Bachelet ripubblichiamo un editoriale da lui scritto sulla nostra rivista nel numero di agosto 1947, quando ne era il condirettore, profondamente grati a lui per averci preceduti e illuminati in questo cammino di vita con il suo esempio, i suoi valori, la sua opera, la sua serenità e tenacia, consapevoli che ora spetta a noi prendere e portare nel mondo questa responsabilità.
Amici di tutti *
Oggi è di moda l’integralismo. Umanesimo integrale, cristianesimo integrale, concezione integrale della vita.
Non si vogliono più uomini a mille facce e mille atteggiamenti, si vogliono in sostanza uomini tutti di un pezzo, convinti fino in fondo delle loro idee, e capaci di tradurle in atto.
E fin qui non possiamo che esser d’accordo. Il guaio comincia quando dalle parole si passa ai fatti. Alla vita di tutti i giorni. Succede allora, per esempio, che invece di essere il cristianesimo a regolare in pieno ogni atteggiamento della nostra vita, siamo noi che trasportiamo i nostri piccoli modi di vedere nella concezione stessa del cristianesimo e mentre siamo in buona fede convinti di attuare un cristianesimo integrale, non facciamo in realtà che deformare spesso paurosamente la stessa concezione cristiana.
Così in un momento in cui i fronti, i blocchi, lo stato d’animo di guerra insomma, sono all’ordine del giorno, noi siamo senza dubbio portati dal corso stesso delle cose, a concepire il cristianesimo, la Chiesa Cattolica, come un gigantesco fronte di combattimento che – come tutti i fronti- divide gli uomini in due schiere: quelli che stanno al di qua e quelli che stanno al di là, gli amici e i nemici. Ora bisogna intendersi: la Chiesa e i fedeli avranno sempre dei nemici, secondo la predizione di Gesù. Ma i nemici dei cattolici hanno senza dubbio una posizione singolare. Nemici in genere sono individui che reciprocamente si vogliono male e si combattono: in sostanza normalmente coincidono con la posizione attiva con la posizione passiva di nemico.
Per i cattolici, no. Se nemico è colui che non ama, allora è vero senz’altro che i cattolici hanno molti tenaci nemici: ma se nemico è colui che non si ama, allora è più vero ancora che i cattolici non hanno nemici. I cattolici combattono, devono combattere il male che è l’unica cosa che possono non amare; ma non possono combattere, essere nemici degli uomini, anche se questi sono al servizio del male, anche quando combattono la verità, la giustizia, la carità, la Chiesa.
E’ certamente questa, una delle leggi più singolari e difficili del cattolicesimo: difendere le proprie idee, i propri diritti che sono idee e diritti della Chiesa di Cristo; ma difenderli amando coloro che combattono per gli ideali opposti; coloro che vogliono opprimere o addirittura opprimono il cattolicesimo. I cattolici li devono amare: non basta che non li odino – e amare vuol dire essere in ansia per la loro vita, aver a cuore il loro buon nome, saper pregare per loro, essere capace di offrire in ogni momento un sorriso di pace: e perciò fare della polemica, della documentazione della responsabilità, una legittima difesa, un’arma che serva la verità e la giustizia, ma insieme la carità.
E tutto questo non vuol dire essere fiacco. Di fronte a certe forme di polemica deteriore mi è venuto spesso di pensare all’atteggiamento dei primi cristiani di fronte alle autorità romane che li giudicavano: un atteggiamento fiero, delle parole precise, severe anche, ma sempre ispirate da quell’amore stesso che li portava al martirio. Per questo succedeva che i giudici, che i carcerieri, che i soldati si convertivano a quella fede della quale i cristiani testimoniavano con la loro vita e con la pienezza del loro amore.
Agire, bisogna, certamente. Parlare, anche a voce alta e sicura, tutte le volte che sia necessario agire e parlare con coraggio. Ma soprattutto è necessario agire e parlare con amore. Questo può essere più difficile oggi, in una società spezzettata o atomica, in cui ogni piccola frazione sente il dovere di chiudersi nella sua piccola fortezza puntando sulle altre le proprie batterie. Può essere più difficile per gli uomini che si trovano nel fuoco della lotta politica, con le sue miserie, con le sue slealtà, con la sua acre polemica. Per questo io stimo moltissimo gli uomini politici che sanno, nonostante tutto, conservare questa forza di amore. Ad ogni modo è certo che, qualunque possa essere la difficoltà, alla legge non si può derogare. Ci vorrà più sforzo, bisognerà chiedere soprattutto un aiuto maggiore di Grazia: ma alla legge non si può derogare: perché questo è il comandamento nuovo del cristianesimo: «Avete udito che fu detto agli antichi: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico: ma io vi dico, amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano».
Se i cristiani sapessero sempre amare così, essi avrebbero certamente meno nemici. Perché è difficile resistere alla forza dell’amore.
V. Bachelet
* Da «Ricerca», a. III (1947), n. 15, I agosto, p. I.