di Francesca Simeoni * 

La porta è davanti a noi; a che serve desiderare?
Meglio sarebbe andare senza più speranza.
Non entreremo mai, siamo stanchi di vederla.
La porta aprendosi liberò tanto silenzio
Che nessun fiore apparve (…)
Solo lo spazio immenso
apparve d’improvviso da parte a parte, colmò il cuore,
lavò gli occhi quasi ciechi sotto la polvere.[1]

 

Una vita esigente

Simone Weil: donna forte, esagerata e scrupolosamente attenta alla bellezza del mondo, storico, fisico e interiore. Imbarazzante tentare di tracciarne un ritratto o di condensarne il pensiero: si ha l’effetto di mancanza e di insufficienza proprio dei profili di grandi pensatori, di grandi uomini e donne. La sua vita[2] ed i suoi scritti svelano un carattere poliedrico, eppure chiaramente e intimamente unificato, tratto tipico del femminile, capace di sfumature e di coesistenza nella complessità.

Nacque nella Parigi dei primi del Novecento (3 febbraio 1909) in una famiglia medio-borghese. I genitori, ebrei di origine ma non legati ad alcuna tradizione religiosa, avevano saputo creare un ambiente familiare ricco di stimoli culturali per i figli Simone e André.

Negli studi la piccola Simone era vivace e molto brillante. Durante gli anni al liceo Henry IV trovò un punto di riferimento in Alain, nome col quale si presentava il filosofo Emile Chartier, suo professore, docente il cui atteggiamento socratico, scettico e aperto segnò la formazione di diverse generazioni di intellettuali francesi, mettendo i suoi studenti a contatto diretto con i grandi filosofi e suscitando anche in Simone Weil l’amore per la libertà incondizionata del pensiero.

Nel 1928 entrò all’Ecole Normale Supérieure e nel ’31 ne uscì con il titolo per l’insegnamento della filosofia. Inizia così la sua professione di docente nei licei femminili di Le Puy, Auxerre e poi Roanne e Bourges. Sono i primi anni Trenta, anni di dura crisi economica e mentre insegna, Simone Weil avverte la necessità di condividere la sorte degli operai suoi concittadini: inizia così un’intensa attività sindacale, condivide con loro il suo stipendio, partecipa all’organizzazione di corsi serali per minatori, si mette insieme agli “sventurati”, non per essere prima tra gli ultimi, ma per essere. Questa condivisione, fino all’impiego in diverse fabbriche parigine, è accompagnata da una tagliente riflessione critica, sociale e politica, sulla condizione dell’oppressione e della libertà dell’uomo contemporaneo[3].

Partecipa intensamente alla storia e al suo tempo, si reca diverse volte in Germania per testimoniare gli effetti della crisi. Nel 1936, allo scoppio della guerra civile in Spagna, avverte l’impossibilità di restarne fuori e si arruola tra le file anti-franchiste. Per problemi fisici è costretta a rientrare e, a causa di frequenti emicranie che la colpiscono fin da bambina, si reca in Svizzera e in Italia per le cure. Così nella primavera del 1937 visita Milano, Firenze, Roma: è un periodo sereno e di grandi emozioni per la sua insaziabile ricerca.

Ad Assisi ha inizio per lei la scoperta di una parte fondamentale della sua umanità, una svolta repentina e decisiva, che riconoscerà l’anno dopo durante la Pasqua nell’abbazia benedettina di Solesmes. In modo personalissimo e netto fa l’esperienza dell’amore divino in Cristo, che accende la sua spiritualità, già intensa e ostinata. Si immerge così nella lettura della Bibbia, riprende i classici greci, esplora gli scritti dell’antico Egitto.

Nel 1940 allo scoppio della guerra è costretta a rifugiarsi a Marsiglia con i genitori, dove rimane fino al ’42 e trascorre uno dei periodi più fecondi della sua vita spirituale e della sua ricerca intellettuale e ricco di intensi scambi umani: conosce il padre domenicano Perrin e Gustave Thibon, suo grande amico. Le riflessioni prolifiche di questi anni sono raccontate nei Quaderni e negli scritti e nelle lettere raccolti in Attesa di Dio[4].

Dopo alcuni mesi negli Stati Uniti, nel 1942 si reca in Inghilterra dove si arruola nelle file di “France Combattante”, l’organizzazione della resistenza francese in esilio, desiderando di partecipare della vita dei soldati al fronte come infermiera. Muore di tubercolosi in un sanatorio di Ashford il 24 agosto del 1943.

Ogni dettaglio della sua insaziabile vita – le scelte, gli incontri, la forza critica e la determinazione nella condivisione con gli oppressi, fino alle più alte pagine vibranti di un’intensa vita spirituale – è unificato nella sua onesta ricerca di verità, sintesi della sua figura[5].

Un’intelligenza cordiale

Attraversando gli scritti della pensatrice parigina si ha la percezione di un pensiero che evita ogni sistematizzazione, anzi, che si pone come contrario di ogni sistema, procedendo a ritmo serrato attraverso contraddizioni, corrispondenze, intuizioni penetranti ed evocazioni. L’adesione ad una nitida e cogente coerenza del pensiero lascia spazio infatti alla resistenza della realtà e delle relazioni umane, ponendo al centro una ricerca di senso che tiene insieme rigore razionale, sostanza umana e capacità di grazia. In questa filosofa, dunque, si respira l’impossibilità di una struttura di pensiero chiusa capace di spiegare il tutto, impossibilità che siede nel cuore della cultura contemporanea. Ciò accade anche perché il suo comprendere filosofico è frutto «della sua intelligenza cordiale, indissociabile dal suo essere al mondo con la massa degli oppressi, degli sfruttati, degli schiavi. Se è permesso di “ordinare” i suoi scritti, di trarci dei temi, dei motivi, degli accordi dominanti, questa filosofa di professione non aveva un progetto filosofico. Ella si vuole solamente servitrice docile di una verità che l’abita, portatrice vigorosa di un messaggio che la supera»[6]. Vi è infatti un intimo e coltivato legame tra attenzione, amore del prossimo, gusto della bellezza del mondo e amore di Dio che attraversa le pagine weiliane e da cui traspare la sua intelligenza nutrita di passione e aderenza alle cose.

L’insieme dei suoi scritti restituisce dunque l’impressione non tanto di un sistema, bensì di un itinerario[7] speculativo ma anche umano e spirituale, percorso che ha un vero valore performativo in chi si pone sulle sue tracce e l’ascolta.

Stare sulla soglia

Seguire Simone Weil nelle sue riflessioni impone al lettore un movimento oscillante continuo tra particolare ed universale, tra intuizioni del sovrannaturale e considerazione del peso concreto della necessità e della materia, tra grazia e pesanteur[8], due termini chiave per tentare una lettura trasversale del suo pensiero. Nel punto di equilibrio di questa oscillazione risiede la capacità di «dimorare sulla soglia»[9], lì dove l’intelligenza e la condizione umana arrivano ad un ostacolo contro cui cozzano, ad una porta che non si apre, e si esercita la virtù del desiderio e la capacità dell’attesa. La soglia è il luogo in cui i contrari si toccano, in cui la sventura diventa esperienza della grazia, in cui la necessità dura del mondo diventa la sua bellezza, in cui lo svuotamento di sé diventa accoglienza dell’amore divino, in cui la creazione diventa atto di rinuncia di Dio al proprio potere. La centralità della soglia permette inoltre di intuire come il pensiero e l’impegno politici della giovane Weil siano inscindibili dalla parte mistica delle sue opere mature: anche quando è mistica, Simone è ben aderente alla materia, quando parla dell’amore sovrannaturale di Dio, lo associa sempre all’amore dello sventurato e alla bellezza del mondo quale è. «Del resto il suo lavoro non consiste mai nel negare l’umanità dell’uomo, la sua finitezza, il suo limite, la sua carnalità; si tratta piuttosto di concentrarsi su di essa a tal punto e con tale intensità da trasfigurarla, da trapassarla, da coglierla nella sua profondità essenziale, che fa emergere il soprannaturale come l’essenza più profonda del naturale»[10].

Anche riguardo al proprio percorso cristiano Simone Weil rimane sulla soglia: si sente chiamata a stare con gli ultimi anche quando si tratta di chi è escluso dalla Chiesa, a trovarsi nella «intersezione tra il cristianesimo e tutto ciò che è al di fuori di esso»[11]. Per questo, seppur animata da un fervente desiderio di adesione a Cristo, decide di non battezzarsi e di rimanere esterna alla Chiesa, con chi non crede o ne è escluso. Delicatezza e determinazione eloquenti per ogni uomo di fede.

Attendere e fare attenzione

L’atteggiamento della soglia è quello dell’attesa, di chi non forza la porta, ma si fa vuoto di pretese per vedervi oltre. Il tema dell’attendere emerge con nitidezza negli scritti raccolti in Attesa di Dio, dove spunta una breve dispensa[12] preparata per gli studenti dell’amico padre Perrin nella quale Simone Weil, ormai esonerata dall’insegnamento ma per molti anni docente e studente, concentra alcune preziosissime e illuminanti riflessioni per una concezione cristiana degli studi. Lo sforzo che innerva l’esercizio di studio e di comprensione, nota l’autrice, è fatto tutto d’attenzione. Indipendentemente dai risultati e dalle nozioni acquisite, tale sforzo non viene mai disperso: esso costituisce una riserva, un allenamento fondamentale che porta i propri frutti, in modo inatteso, nella preghiera. Ogni sforzo d’attenzione, se abitato dal desiderio profondo di verità e se orientato dalla gioia dell’intelligenza, crea un’attitudine rara e di marca squisitamente spirituale. Il pensiero infatti si allena ad attendere, senza ancora aver ottenuto il proprio oggetto, ma semplicemente desiderandolo. In questo modo si crea quello svuotamento che è pura recettività e che permette di accogliere ciò che giunge. Questa capacità di svuotamento e attesa è la sostanza della preghiera, che costringe Dio a scendere verso l’uomo. Ed essa non fruttifica solo nel senso dell’amore di Dio, bensì anche rende capaci di quell’attenzione fine e svuotata di sé verso il prossimo e di quello sguardo capace di vedere lo sventurato, che lo salva.

Rinuncia, attesa e grazia sono dunque i movimenti dell’amore: dall’attenzione dello studio al tirocinio del prossimo, fino al “sacramento” che è l’incontro con l’oppresso, in queste soglie la ricerca di Simone Weil si sofferma, intravvedendovi nitido lo spazio implicito dell’amore di Dio. Un pensiero ferreo e delicatissimo, cui solo una pensatrice poteva donare la propria sensibilità.

* già Presidente Nazionale FUCI

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Bibliografia essenziale delle Opere di Simone Weil in edizione italiana:
Attesa di Dio, a cura di M.C. Sala, Milano 2008.
La condizione operaia, a cura di F. Fortini, Milano 1994.
La prima radice, a cura di F. Fortini, Milano 1990.
La Grecia e le intuizioni pre-cristiane, a cura di M. Harwell Pieracci e C. Campo, Roma 1999.
L’ombra e la grazia, a cura di F. Fortini, Milano 2002.
L’amore di dio, a cura di G. Bissaca e A. Cattabiani, Roma 1979.
Quaderni, a cura di G. Gaeta, Milano; vol. I, 1982; vol. II, 1985; vol. III, 1988; vol. IV, 1993.



[1] S. Weil, La porta, in Id., Poesie, ed. it. a cura di R. Carifi, Milano 1998, pp. 66-67.
[2]  La biografia di Simone Weil è stata raccontata e curata dall’amica Simone Pétrement. Cfr. S. PÉTREMENT, La vita di Simone Weil, trad. it. a cura di M. C. Sala, con una nota di G. Gaeta, Milano 1994. Si veda inoltre E. Di Domenico – A. Danese, Bibliografia italiana su S. Weil e breve biografia, in “Prospettiva Persona”, 65-66 (2008), pp. 108-125.
[3] Cfr. S. Weil, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, trad. di G. Gaeta, Adelphi, Milano 1983.
[4] Cfr. Id., Quaderni, ed. it. a cura di G. Gaeta, Milano; vol. I, 1982; vol. II, 1985; vol. III, 1988; vol. IV, 1993 e Attesa di Dio, ed. it. a cura di M.C. Sala, Milano 2008.
[5] Cfr. A. Devaux, Simone Weil o la passione per la verità, in “Testimonianze”, 370 (1994), pp. 17-44.
[6] A. Birou, Comment “lire” Simone Weil?, in “Cahiers Simone Weil”, 4 (1981), pp. 201-221, qui p. 208.
[7] Cfr. A. Del Noce, Simone Weil, interprete del mondo di oggi, in S. Weil, L’amore di Dio, Roma 1979, pp. 7-64, 28.
[8] Per un approfondimento del significato di pesanteur cfr. M. Vannini, Prego Dio che mi liberi da Dio, Milano 2010,  pp. 27-37.
[9] Cfr. A. Pezzini, Il pensiero della soglia in Simone Weil, in “Vita Monastica”, 245 (2010), pp. 9-36.
[10] U. Perone, Le passioni di Simone Weil, in “Testimonianze”, 370 (1994), pp. 13-16, p. 13.
[11] S. Weil, Attesa di Dio cit., pp. 18-19.
[12] S. Weil, Riflessione sul buon uso degli studi scolastici in vista dell’amore di Dio, in Id., Attesa di Dio cit., pp. 191-201.