GESTIRE IL CAMBIAMENTO

di Pietro Cossiga

FUCINO DELLA DIOCESI DI ROMA, LAUREATO IN SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE ALL’UNIVERSITÀ
PONTIFICA SALESIANA

Con il termine “mente”, intesa come entità complessa basata su una rete di relazioni tra facoltà di diversa natura, si fa riferimento non a una realtà interna, che risiede esclusivamente nell’individuo e risente soltanto di processi interiori, ma a una esterna con cui l’individuo è visto in relazione¹. Bisogna quindi sempre tenere conto dell’ambiente esterno e di come le coordinate temporali e spaziali concorrono nel percorso di maturazione e crescita della persona, che inizia nel momento in cui si prende coscienza di essere in una continua sollecitazione al cambiamento e alla mutazione. Quando Eraclito enuncia la sua massima «Panta rei», “tutto scorre”, concepisce il mondo come un flusso perenne e sottolinea come l’uomo non possa mai ripetere una stessa esperienza, poiché tutto è sottoposto alla legge inesorabile del mutamento. Così come l’acqua che scorre in un determinato punto del fiume sarà sempre diversa in ogni istante in cui la osserviamo, così anche l’uomo non smette mai di cambiare, sia a livello psicologico (abitudini, comportamenti, interessi e schemi mentali) sia a livello biologico (ad esempio, con la rigenerazione cellulare ogni giorno in un essere umano adulto muoiono e si rigenerano dai cinquanta ai cento miliardi di cellule)².

Il cambiamento a livello psicologico e comportamentale va inteso come una modificazione delle relazioni esistenti tra le parti che contribuiscono a formare il Sé dell’individuo³, per cui il cambiamento può avere inevitabilmente due accezioni: una positiva nel momento in cui viene vissuto dall’individuo come processo di arricchimento e di crescita personale, e una negativa se i suoi effetti sono distruttivi, e contrari a ciò che è buono, bello e vero per la propria persona.

A livello generale, è necessario precisare che i cambiamenti non sono mai positivi o negativi in assoluto, ma possono assumere una valenza migliorativa o peggiorativa a seconda dell’atteggiamento mentale con cui si affrontano.

 

Gli stadi del cambiamento

Il cambiamento è un processo graduale, che richiede tempo e molteplici passaggi per realizzarsi; non è un fenomeno “tutto
o nulla”. Durante il processo di empowerment, inteso in questo caso come miglioramento personale, due sono gli aspetti principali da tenere presenti: piccoli cambiamenti possono generare grandi risultati⁵; il cambiamento avviene in maniera graduale ma si manifesta all’improvviso. Il cambiamento, in quest’ottica, è paragonabile a un seme, piantato e annaffiato, che apparentemente non dà segni di vita, ma che poi all’improvviso la genera.

Il cambiamento non è effettivamente visibile nel momento in cui si cambia qualcosa, ma solo successivamente emerge la trasformazione. Fondamentale per attivare il potere trasformativo del cambiamento è il ciclo del benessere, che si basa sul riconoscimento del valore positivo delle 3 P (piacere, possesso, potere) e sullo sviluppo delle 3 C (contentezza, condivisione, cooperazione). A livello evolutivo, il ciclo del benessere si attiva promuovendo nell’individuo tre processi di crescita: «l’individuazione, la relazione, e l’interdipendenza».

Prochaska e DiClemente⁸ hanno elaborato il “Modello transteorico del cambiamento”, uno dei più utilizzati nella prevenzione e promozione della salute durante i processi trasformativi che interessano la vita. Le fasi del cambiamento individuate dai due studiosi sono cinque: precontemplazione, contemplazione, determinazione o preparazione, azione e mantenimento.

Nella precontemplazione il soggetto interessato non è consapevole della propria condizione di disagio, con la quale nelle scienze psicologiche intendiamo uno stato soggettivo e generico di sofferenza psichica, minimizza il problema ed ha una scarsa motivazione a cambiare; durante la fase della contemplazione, l’individuo inizia a considerare la possibilità del cambiamento, riconoscendone i lati positivi e negativi; nella determinazione o preparazione il soggetto realizza la decisione di cambiare, con la consapevolezza degli aspetti negativi esistenti nel precedente comportamento; nella fase dell’azione viene incluso il nuovo comportamento all’interno del proprio stile di vita, mentre il vecchio comportamento a rischio viene interrotto; infine, la fase del mantenimento è caratterizzata da un definitivo abbandono del problema. Il rischio delle ricadute diminuisce, ma nel caso in cui queste siano presenti, sarà forte la possibilità di regredire al comportamento precedente e ricominciare il ciclo dall’inizio¹⁰.

Per adottare un qualsiasi nuovo cambiamento servono dai tre ai sei mesi e circa due anni per renderlo parte integrante del proprio stile di vita, perché è necessario che il nostro atteggiamento precedente venga sostituito dal nuovo comportamento che a sua volta per radicarsi nella nostra vita deve tramutarsi in un nuovo atteggiamento. Infatti, se per comportamento intendiamo uno stadio a breve termine anche se ripetitivo, l’atteggiamento rappresenta una modalità più stabile e duratura, ovvero il modo di comportarsi di una persona¹¹. Tale concetto è diventato centrale in tutti gli ambiti della psicologia.

 

La resistenza al cambiamento

La resistenza al cambiamento è la manifestazione di come l’essere umano tenda a mantenere l’omeostasi generale, ovvero un equilibrio sia fisiologico che psicologico. Questa condizione di stabilità interna è utile affinché l’essere umano, come sistema attivo, di fronte a perturbazioni esterne riesca a sopravvivere anche ai cambiamenti forzati, come è accaduto per l’impatto della pandemia globale sulle vite di ognuno di noi. Questo sistema scritto nel codice genetico dell’essere umano a volte può essere disfunzionale e non permettere il cambiamento. Traendo indicazioni dal modello transteorico sopracitato, possiamo affermare che durante la fase della determinazione, ovvero quella in cui viene raggiunta la decisione di voler cambiare, entrano in gioco diversi tipi di resistenza al cambiamento: collaborativa, volitiva, oppositiva, ideologica¹².

La resistenza collaborativa è caratterizzata da un’iniziale collaborazione, accompagnata da un senso di soddisfazione, dando per scontato che il cambiamento perduri nel tempo, senza rendersi conto della possibile ricaduta dietro l’angolo; nella resistenza di tipo volitivo il soggetto è consapevole dell’opportunità di poter cambiare la propria condizione, ma non crede di potercela fare, accompagnando tutti questi processi da sentimenti di dispiacere; la resistenza di tipo oppositivo è caratteristica di quelle persone che tendono a squalificare le proposte dall’esterno, quindi ci si autoboigotta credendo che tutto sia inefficace e che non sia possibile cambiare; infine, nella resistenza di tipo ideologico il soggetto crede che le proprie convinzioni e i suoi modi di fare siano indiscutibilmente perfetti e di conseguenza il cambiamento perde la propria utilità.

 

Il cambiamento come opportunità di crescita

Il cambiamento per come lo abbiamo descritto è un fenomeno che mette in “crisi”, ovvero in discussione e apre i nostri orizzonti a una serie di possibilità. Crisi, da un punto di vista etimologico, significa “stato decisionale”, “situazione di vita aperta su diverse possibilità”. Il termine non ha dunque un significato necessariamente negativo; rimanda a una possibilità di crescita del soggetto, ma anche al suo contrario¹³. Appare evidente come la crisi comprenda una fase di cambiamento, che anche se a volte può rappresentare un pericolo, in quanto comporta un avventurarsi in un territorio senza garanzie di riuscita, alla fine rappresenta un’opportunità per sviluppare autostima, resilienza, determinazione da mettere in pratica nel presente per viverlo al meglio in una prospettiva di continuo sviluppo e crescita.

  1. G. Liotti, La dimensione interpersonale della coscienza, Carocci, Roma 1994.
  2. G. Bianconi, “Aula di Scienze”, in Zanichelli, 2011.
  3. V.F. Guidano, Complexity of the self. A developmental approach to psychopathology and therapy, New York, 1987, (trad. it., Torino 1988).
  4. P. Cossiga, Educare alla Pace, in «Ricerca. Nuova Serie di Azione Fucina», 1-2-3 (2022).
  5. M. Gladwell, The Tipping Point, Back Bay Books, 2000.
  6. C. Molari, La vita credente, Elledici, Torino, 1996.
  7. R. Mastromarino, La gestione dei gruppi, FrancoAngeli, Milano, 2013.
  8. J.O. Prochaska, C. C. DiClemente, Transtheoretical Therapy: Toward a More Integrative Model of Change, in «American Journal of Health Promotion», 1982.
  9. A. Ricci, Z. Formella, Lo psicologo scolastico, ELS Scuola, 2017.
  10. C.C. DiClemente, J.O. Prochaska, Self-change and therapy change of smoking behavior: A comparison of processes of change of cessation and maintenance. Addictive Behavior, 1982.
  11. Z. Formella, Psicologia dell’Educazione, LAS, Roma, 2020.
  12. G. Nardone, Psicotrappole, Ponte alle Grazie, Milano 2018.
  13. A. Cencini, L’ora di Dio. La crisi nella vita credente, Edb, Bologna 2010.