ARTIGIANI DI GIUSTIZIA E DI PACE
di Cesare Sposetti SJ
GESUITA, LAUREATO IN GIURISPRUDENZA, FORMATOSI NELLE FILIPPINE E MEMBRO DELLA REDAZIONE DELLA RIVISTA «AGGIORNAMENTI SOCIALI»
Ormai da mesi le prime pagine dei nostri giornali (e i newsfeed dei nostri social media) sono invasi da notizie continue relative alla guerra in Ucraina. I rumori di guerra si fanno sempre più insistenti e inquietanti. Come italiani e come europei, ci sentiamo naturalmente più coinvolti da un conflitto che avviene più vicino ai nostri confini. Costretti improvvisamente ad aprire gli occhi sulla realtà della guerra (spesso confinata in tanti conflitti “lontani” nel mondo che tuttora tendiamo a ignorare), la pace non appare più qualcosa di ovvio e scontato.
Gran parte del dibattito pubblico è sicuramente concentrato sui pressanti dubbi sulla risposta istituzionale a tale crisi. Se da un lato, come rimarcato dal segretario di Stato Vaticano card. Pietro Parolin in una recente intervista, non si mette in discussione il diritto di un popolo di difendersi anche con le armi, se attaccato, entro le precise condizioni stabilite per la legittima difesa¹, dall’altro è pur vero che oggi è necessario mettere sul piatto anche la potenza dei moderni mezzi di distruzione². Proprio per questo, papa Francesco nella sua ultima enciclica Fratelli tutti (2020) ha espresso contro la guerra un giudizio netto, dicendo:
«Non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra!»³.
In questo, papa Francesco non fa che riprendere con forza ciò che già papa san Giovanni XXIII affermò nella sua celebre enciclica Pacem in terris (1963): è impossibile pensare che la guerra, nell’era atomica, possa essere usata come strumento di giustizia ⁴.
Eppure in questi giorni la stessa parola “pace” sembra sprofondata dietro un’imbarazzante ambiguità: talvolta confusa con un semplice desiderio di “quieto vivere”, di essere lasciati “in pace”, in altri casi autenticamente desiderata, ma percepita come un inaccettabile cedimento alla logica del più forte, davanti alla cui
violenza solo una risposta violenta sarebbe efficace, e in fin dei conti, “giusta”. Come credenti, tendiamo a sentire questa logica in contrasto con la Parola del Vangelo:
«Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).
Eppure, al tempo stesso, percepiamo la profonda distanza fra il nostro modo di intendere la pace e la giustizia, e quello di Gesù. In queste pagine proveremo a immergerci di nuovo nella “prospettiva di Dio”, per trovare la nostra via verso la vera pace.
Giustizia e pace si baceranno
La Parola del Vangelo che abbiamo sopra ricordato si inserisce in un più ampio contesto biblico in cui giustizia (zedakah, in ebraico) e pace (shalom) vengono spesso accomunate in una relazione stretta in cui l’una non può fare a meno dell’altra. Può venire in mente il celebre oracolo di salvezza contenuto nel Salmo
85 (84), vv. 11-12:
«Misericordia e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
La verità germoglierà dalla terra
e la giustizia si affaccerà dal cielo.»
Con le sue caratteristiche personificazioni, il Salmo mette insieme giustizia e pace nell’intimità di un bacio, che segue l’incontro delle altre due virtù “sorelle”, misericordia e verità. Ma come si caratterizza questa unione? Qualche indicazione in più ci viene da un altro passo della Scrittura, dal libro del profeta Isaia:
«Praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per
sempre» (Is 32,17).
La pace viene presentata come l’effetto più naturale della pratica della giustizia, e quest’ultima come la condizione necessaria per una pace autentica. Passando al Nuovo Testamento, al tempo stesso si legge in un altro passo, questa volta dalla Lettera di Giacomo:
«Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia” (Gc 3,18).
Non solo dunque la pace è frutto della giustizia: al tempo stesso, l’essere “operatori di pace” semina frutti di giustizia! Nel Nuovo Testamento si specifica meglio
inoltre quale sia la pace in questione. Al capitolo 14, versetto 27 del Vangelo di Giovanni, nell’ambito del lungo discorso d’addio ai suoi discepoli durante l’Ultima cena, poco dopo aver lavato loro i piedi, Gesù pronuncia una frase che noi ripetiamo a ogni celebrazione eucaristica:
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi».
Si stabilisce così una distinzione chiara tra un’idea puramente “mondana” di pace e quella donata invece da Gesù.
Questo punto emerge con particolare forza in alcuni documenti del Magistero papale più recente. Papa san Paolo VI, nella sua celebre enciclica Populorum progressio (1967), che tanta influenza ha esercitato anche sul pensiero dell’attuale pontefice, afferma che la pace è molto di più che semplice e precaria assenza di conflitto. Sono sotto gli occhi di tutti gli effetti di una falsa pace intesa come mera “non belligeranza”, che si disinteressa delle cause profonde, delle radici dei conflitti. La vera pace non è mai già “data”: non può che essere frutto di un lavoro paziente, fatto di pratica quotidiana della giustizia e di impegno per il bene comune⁵. La pace è sempre un processo, qualcosa da costruire insieme. Così anche papa Francesco, nella già citata Fratelli tutti, sostiene l’importanza di avviare processi di incontro, «che possano costruire un popolo capace di raccogliere le differenze»⁶.
Ciò non significa certo negare il conflitto. Tante guerre di fatto nascono dalla sua semplice e artificiale rimozione. Come osserva sempre papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (2013), non si può ignorare o dissimulare il conflitto: si deve accettare la sua presenza e “verità”⁷. Eppure esso non può avere l’ultima parola, a pena di rimanervi semplicemente intrappolati. Vi è una “terza via”, che è quella di «accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo»⁸.
La pace non può darsi per scontata. La pace è un processo, che porta alla luce le vere cause dei conflitti che viviamo e ci chiede di affrontarle, insieme a chi cammina con noi. In questo processo entra in gioco un altro tassello fondamentale che compare nei passaggi biblici richiamati sopra: quello della giustizia.
Giustizia e carità
Il card. Carlo Maria Martini, di cui abbiamo da poco celebrato il decimo anniversario dalla morte, nel corso della sua lunga esperienza come arcivescovo di Milano, ha dedicato particolare attenzione al tema della giustizia, come sempre partendo dalle Scritture. Martini nota che la giustizia nella Bibbia viene intesa come “armonia ed equilibrio di rapporti”, come «virtù che promuove l’ordine positivo, costruttivo, benefico dei rapporti degli uomini tra loro e con Dio»⁹. Altra caratteristica fondamentale della giustizia come emerge dalle Scritture è il suo legame fondamentale con la carità, la cui radice etimologica, il greco charis, rimanda a una “dedizione totalmente libera e gratuita”¹⁰. Secondo Martini, la carità “stimola” la giustizia, le offre una motivazione radicale, che è quella di un «impegno pratico, concepito e praticato come servizio»¹¹.
Rimane di fatto un irriducibile scarto tra la piena realizzazione della giustizia divina (che si integra pienamente con la carità) e la giustizia civile storicamente possibile¹². Eppure ci rendiamo conto di come l’“eccedenza” tipica della carità è già di fatto parte integrante nel cammino verso la vera pace. La lotta quotidiana contro ogni tipo di ingiustizia e disuguaglianza, rivolta a costruire la vera pace, è di fatto una forma di carità. Papa Montini, sempre in Populorum progressio, mette chiaramente in rilievo come disuguaglianza, ingiustizia e iniquità siano le cause prime dei conflitti. Di conseguenza, «combattere la miseria e lottare contro l’ingiustizia, è promuovere, insieme con il miglioramento delle condizioni di vita, il progresso umano e spirituale di tutti, e dunque il bene comune dell’umanit໹³. E ogni progresso, ogni sviluppo, per essere autenticamente umano, non si può ridurre alla semplice crescita economica, ma deve essere integrale, volto alla «promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo»¹⁴. Papa Francesco gli fa di nuovo eco in Fratelli tutti, dicendo che proprio «l’inequità e la mancanza di sviluppo umano integrale non permettono che si generi pace»¹⁵. Per costruire una pace vera e giusta, si dovrà sempre «partire dagli ultimi»¹⁶.
Vediamo dunque come la pratica della giustizia, non disgiunta dalla carità, costituisca la colonna portante dell’edificio della pace. La vera pace, a sua volta, è la condizione necessaria perché una società giusta prosperi e possa affrontare i conflitti che naturalmente emergono nelle dinamiche di relazione personale e politica, non sedandoli con compromessi precari, annullandoli o ignorandoli, ma aprendo a un dialogo vero.
Chiamati a essere artigiani di pace
Al termine di questo breve percorso di riscoperta del legame profondo tra giustizia e pace, ci chiediamo con ancora più insistenza come noi siamo chiamati a divenire in prima persona costruttori di pace.
La pace infatti non si costruisce solo a livello istituzionale. Per usare ancora le parole di papa Francesco, non esiste solo una “architettura” istituzionale della pace: vi è un “artigianato” della pace, in cui tutti siamo direttamente coinvolti¹⁷. Tutti siamo chiamati a diventare artigiani di pace, a partire dalla nostra vita quotidiana. Il cammino verso la pace comincia anzitutto da noi stessi, dalla nostra interiorità, perché «con cuori spezzati in mille frammenti sarà difficile costruire un’autentica pace sociale»¹⁸.
Come ci prendiamo cura dunque della nostra pace interiore? La consideriamo solo un “affare privato”, o sentiamo come essa sia legata al nostro modo di vivere le relazioni fondamentali della nostra vita (con Dio, con gli altri, con il creato)? La sentiamo legata alla realizzazione di un “bene comune”, da cui la mia personale realizzazione non può mai essere disgiunta? Come viviamo la dimensione del conflitto? I miei conflitti interiori, i conflitti in famiglia, con i miei amici, nei nostri gruppi… Li sentiamo semplicemente come un ostacolo doloroso, cerchiamo di nasconderli? Li alimentiamo e li sfruttiamo? Oppure siamo capaci di guardarli con verità e di lasciarci provocare e cambiare da essi?
Infine, siamo sensibili alle tante richieste di giustizia che ci circondano? A quelle del nostro paese, della nostra città, del nostro quartiere? Riusciamo a riconoscere spazio e dignità, nei modi che ci sono possibili, agli ultimi, ai più ignorati e abbandonati, a partire da quelli che ci sono più vicini? Consideriamo il nostro impegno di studio e/o di lavoro come parte integrante di una missione di pace?
Queste sono solo alcune domande per un possibile “esame di coscienza”: non per suscitare sensi di colpa paralizzanti, quanto piuttosto per spingerci a modellare, ognuno secondo la sua arte e le sue capacità, come artigiani, nuove vie di pace e giustizia a partire dal nostro quotidiano. Solo in questo modo la carità e la giustizia di cui siamo concretamente capaci diventeranno la creta con cui plasmare la pace e il bene comune, e la pace a sua volta germoglierà altra giustizia, nel solo circolo virtuoso che può rompere le catene di ogni conflitto, da quelli personali a quelli globali.
- Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2309: danno causato dall’aggressione durevole e certo; esaurimento di tutte le alternative; fondate ragioni di successo; uso delle armi che non provochi mali e disordini più gravi di quelli da eliminare.
- Cfr. L. Caracciolo, G. Gallone, “Così la Chiesa pensa il mondo”. Conversazione con Pietro Parolin, in «Limes», 7 (2022), 251.
- Fratelli tutti, 258.
- Cfr. Pacem in terris, 67.
- Cfr. Populorum progressio, 76.
- Fratelli tutti, 217.
- Cfr. Evangelii gaudium, 226.
- Evangelii gaudium, 227.
- C.M. Martini, Farsi prossimo. Testi fondamentali, I, a cura di P. Foglizzo, Bompiani, Milano 2021, pp. 896 e 898.
- Ivi, p. 935
- Ivi, p. 937.
- Ivi, p. 938.
- Populorum progressio, 76.
- Populorum progressio, 14.
- Fratelli tutti, 235.
- Ibidem.
- Cfr. Fratelli tutti, 231.
- Fratelli tutti, 229.
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