UNA PIATTAFORMA, DEI GIOVANI, UN MANIFESTO. LA SCUOLA EUROPEA DI FORMAZIONE ALLA POLITICA

di Marco Tarallo

RAF E SEGRETARIO DEL CONSIGLIO CENTRALE, DOTTORANDO IN STUDI STORICI DELL’UNIVERSITÀ 
DI FIRENZE E SIENA, IN COTUTELA CON L’UNIVERSITÉ POLYTECHNIQUE HAUTS-DE-FRANCE (VALENCIENNES)

Dal 25 al 27 marzo si è tenuta, a Firenze, la Scuola europea di formazione alla politica (Sefap). Si è trattato di un’iniziativa fortemente voluta dalla presidenza nazionale della Fuci. Ha creduto in questo modo di  dare seguito all’interesse nato dalla base della federazione per i temi della politica in prospettiva europea. L’anno scorso questo interesse si espresse nel “progetto democrazia”, una riflessione collettiva svolta in un insieme di incontri coordinati. L’esito fu un terreno comune di domande e di aspettative emerse da un dialogo plurale, e la redazione di un documento in cui si affrontavano i rapporti tra democrazia ed Europa, comunità, Chiesa, territorio, futuro, nell’intento di presentarlo alle istituzioni comunitarie. Pur nelle ingenuità e lacune superabili di cultura storica, politica e filosofica, che chi scrive a suo tempo sottolineò, di quella esperienza si è saputa conservare la parte migliore, l’energia, le forze e la visione. Di qui la Scuola, che ha riunito novanta studenti cattolici italiani e di associazioni da Germania, Repubblica Ceca, Grecia, Spagna, Romania, Austria, Polonia e Ucraina. L’interesse per la politica e i suoi valori ha ricevuto così linfa nuova nell’innesto su di un più ampio dialogo personale e associativo, il quale ora può sperare in un futuro.

È questo il primo risultato che assegnerei alla Sefap, aver creato, cioè, una piattaforma non esclusivamente fucina ma possibilmente autonoma e trasferibile a livello europeo. In effetti nel corso della Scuola è stata proclamata una seconda sessione da tenersi a Kiev. Al netto delle oggettive difficoltà, immaginare il prossimo appuntamento, tra qualche mese o tra un anno, lì dove è una tra le maggiori minacce all’integrità e alla sicurezza europea, significa sia manifestare solidarietà coraggiosa e “politica”, sia affidare questa Scuola ai giovani europei quale strumento di pace e di intelligenza.

I relatori invitati attraverso i loro interventi hanno offerto uno spaccato non banale della quotidianità comunitaria. B. Covassi, attraverso la sentita commemorazione di D. Sassoli, ha evidenziato la potenzialità reale di forme di autorevolezza gentile, dialogante. La prolusione, affidata a R. Prodi, oltre a soffermarsi sui noti punti della cultura politica originaria dell’Unione Europea e sul valore strutturale della pace, ha donato buone suggestioni operative ponendo l’UE a mezzo del confronto tra le grandi potenze americana e cinese, passando a enuclearne punti di forza e di fragilità nell’intreccio tra patrimoni materiali e valoriali. I successivi interventi hanno illustrato alcuni punti attuali del lavoro comunitario, come scrivevo, nel suo quotidiano. La vicepresidente P. Picierno ha toccato il tema delicato della posizione geopolitica e degli armamenti europei, l’esigenza di trovare soluzioni di omogeneità anche in questi aspetti e in direzione di un rafforzamento, nella situazione globale di riarmo. M. Berlinghieri e M. Nicoletti hanno delineato il problema della distanza tra cittadinanza ed effettive politiche comunitarie in campo sociale ed economico, evidenziando l’importanza di meccanismi pervasivi di accountability, di rendere conto attivamente dell’operato europeo e del suo interesse, tanto teso a sanare squilibri e diseguaglianze, quanto, troppo spesso, ignorato dal dibattito pubblico. Un punto dei loro interventi è stato anche quello di illustrare gli sforzi giornalieri di incontro tra rappresentanti di diverse comunità nazionali e valoriali, tentativi, anche questi, faticosi eppure silenziosi e non appariscenti. M. Primicerio, infine, ha discusso la figura di G. La Pira, gli strumenti della sua azione politica e il suo portato sulle possibilità di abitare le istituzioni non solo a garanzia delle libertà, ma in un’effettiva costruzione di democrazia sostanziale e pace,  rendendosi quasi avventore transfrontaliero tra compagini politiche e ideologiche.

La Scuola è stata rilevante soprattutto per lo scambio di idee tra i suoi giovani. Il dialogo si è strutturato su di una duplice tripartizione, tra i temi comunità, futuro e migrazioni d’Europa e l’indicazione data dal motto «un’Europa più unita, più vicina alla sua gente, più fedele ai suoi valori». I laboratori del giorno e le discussioni notturne hanno mediato una sintesi delle posizioni comuni, la redazione di bozze fino alla stesura di un documento unitario, che è divenuto il manifesto e il programma della Scuola firmato dai suoi partecipanti e proposto all’adozione delle associazioni europee di provenienza. Il secondo risultato della Scuola è stato quindi il raggiungimento di posizioni comuni, alcune raggiunte tra attriti e delicati compromessi. È in questo che la Scuola ha avuto il senso profondo di un riconoscimento dei nodi forti, evidenziati dallo scontro tra posizioni leggibili nel manifesto finale. Questo lavoro si è dimostrato in sintonia con la cultura politica incarnata dai relatori, anzi l’ha forse specificata in uno sforzo tra tensione ideale e delimitazione della scrittura – eccezion fatta, credo, per l’intervento della vicepresidente Picierno che non ha raccolto adesione per la necessità di potenza dell’UE.

Passo quindi, in questa seconda parte, a un’analisi soprattutto interna del manifesto, per evidenziare i tratti salienti. Tripartito nelle sezioni di comunità, migrazioni e futuro, il documento riserva un’ampia introduzione valoriale a inquadramento del manifesto. In calce il primo paragrafo della Gaudium et spes specifica l’ispirazione cattolica e, al contempo, intramondana, che continua nelle considerazioni per cui non vi è salvezza alcuna in qualsiasi forma di isolamento, ma nella responsabilità reciproca e nell’esperienza della medesima comunità umana. Un’esperienza da inverare continuamente in una speranza operosa responsabile del reale utilizzo degli strumenti resi disponibili dal momento e dall’eredità storica. Per agire in questo senso, ai giovani è chiesta una presa di coscienza della propria originalità, diversità e libertà, attraverso la quale essere pronti a rispondere al presente, a occupare il presente e il futuro della società, e a chiedere che questa possibilità non sia loro sottratta. Il riferimento è al discorso di fine anno 2021 del presidente Mattarella, come proposto dal comitato promotore italiano. Non banalmente, il riferimento è stato accettato da tutti i redattori e preferito anche a quello al documento sulla fratellanza umana del 2019, che descriveva libertà e diversità come frutto di una “sapiente volontà divina”. Nell’abitare presente e futuro, si chiedono e descrivono caratteristiche desiderabili della società di là da venire: uguaglianza di beni primari per tutti, per tutti accesso fino ai più alti livelli di educazione. Delicatezza sociale per le fragilità, sentimento di accoglienza e appartenenza universale nel riconoscimento di tutte le unicità. Attenzione e cura innanzitutto per gli ultimi, una concezione diffusa di giustizia lontana da quella di vendetta, centralità dei poveri, pienezza di gentilezza e misericordia, vivibilità, sostenibilità, armonia con il genere umano e l’ambiente, apertura completa alle religioni e ai popoli. L’introduzione termina con la dichiarazione di inumanità di ogni ritorno dell’oppressione di Caino contro Abele, contro il dono divino della pace.

Comunità

La definizione dell’identità europea è colta nella centralità della persona e della sua cura da parte di una comunità solidale, nella presenza strutturale e imprescindibile della diversità, quale risorsa di valore e di cittadinanza. In questo senso, pur nel riconoscimento dei vantaggi offerti dall’Unione, è pure riconosciuto un ancora debole sentimento di appartenenza culturale comune da parte degli stessi giovani. Nel sanare questa mancanza, è proposto un coinvolgimento comunitario maggiore dei giovani, degli adulti. È molto interessante l’esplicito riferimento ai bambini, che quindi pone loro un’attenzione specifica, e ai territori locali, più volte richiamati nel manifesto, a sollevare anche qui il problema globale della difficile connessione dei grandi spazi periferici e non urbani alla comunità politica e sociale. Nella costruzione di un rapporto tra istituzioni europee e società coerente con il quadro valoriale premesso, si dà centralità all’educazione, come strada maestra di conoscenza, rispetto e apprezzamento per le differenze culturali nazionali, per esempio con classi effettivamente specchio di queste. Il fine ultimo è la realizzazione di un sentimento di appartenenza quotidiano sia razionale, sia sentimentale. Il “plebiscito di tutti i giorni” assume qui, nel percorso educativo corresponsabile, delle fondamenta nuove rispetto alle storiche «d’arme di lingua d’altare/ di memorie, di sangue, di cor»¹. La corresponsabilità non è da farsi dal nulla ma per innesto sul tessuto associativo già esistente, come lo Jeci-Miec e Pax Romana, entrambe presenti alla Scuola. La sussidiarietà è un valore mai esplicito ma sotteso a molta parte del manifesto, nel ruolo delle aggregazioni minute e locali nella costruzione di una cultura e di azioni comunitarie, nel compito affidato ai corpi associativi, in primis quelli educativi, quelli giovanili e ovviamente quelli coinvolti nella Scuola. Anche anzi a partire da loro si rivolge un ammonimento, che è quindi anche autocritica, di superare le polarizzazioni proprie di questo momento nei movimenti e nei partiti, di cui si riconosce la disutilità rispetto a una capacità costruttiva di dialogo. Di nuovo, si ribadisce la vera origine dell’identità europea nell’azione solidale e caritativa, cooperativa e corresponsabile sui bisogni delle persone.

Migrazioni

Il valore fondante dell’Unione Europea infatti è l’accettazione. Il termine è problematico quanto più vago, un’evidenza del bisogno dei giovani redattori, con orizzonti non perfettamente coincidenti, di lasciare spazio al contesto. Ad ogni modo, subito dopo è riconosciuto il fine dell’Unione di costruire tra paesi ponti e non muri, trovando il suo ruolo nella guardia ai valori di dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza e diritti umani. Si riconosce e si afferma che una comunità si ingrandisce anche attraverso le differenze evidenziate dalle migrazioni, la cui gestione politica va migliorata nel superamento dell’indifferenza, parola scelta in luogo di “ignoranza”, e della semplificazione amministrativa. Il termine polemico sono quelle individuate come politiche globali di corta visione. Che la sezione sulle migrazioni sia stata la più delicata in fase redazionale è leggibile dalla differenza che il testo finale compie tra rifugiati e migranti, se lo spostamento sia dovuto a ragioni non controllabili dal soggetto oppure no. Il ritorno a una pari considerazione avviene subito dopo e in maniera indiretta: il migrante non riconosciuto come rifugiato si sposta comunque per avere migliori condizioni di vita e per perseguire la propria felicità, che è ricordata essere un diritto umano fondamentale. È su questo dispositivo dell’adozione di fondo del paradigma dei diritti umani che viene al contempo tenuta una distinzione e superata nelle sue implicazioni possibili meno felici, almeno nella costruzione concettuale a tenuta anche giuridica. Questa conquista è stata tra i momenti fondamentali e delicati della discussione, svoltasi tra riconoscimenti reciproci trasparenti, considerazione di possibilità e limiti e ritorno alla lettera evangelica, nell’affido, in definitiva, alla provvidenza divina. Superato questo difficile passaggio, il manifesto prosegue con più decisione riconoscendo la migrazione anche come risorsa per la demografia europea, chiede un lavoro contro la xenofobia fondato su contatti personali concreti, cooperazione tra istituzioni educative e mira alla costruzione di una cittadinanza globale. Sono condannati egualmente il sistema attuale europeo e quelli nazionali di gestione delle migrazioni, perché privano della dignità umana, pongono interessi politici prima del diritto alla vita e danno sussistenza a un vero e proprio commercio della violenza. Perché un processo più umano possa cominciare davvero, si giunge a chiedere all’Europa di rendere conto della parte avuta nelle violenze. Le migrazioni sono legate al bisogno di protezione sociale, che richiede perciò una nuova stagione legislativa europea e di integrazione dei migranti con le popolazioni europee, nel riconoscimento dei reciproci bisogni e con un’opera educativa per i migranti e di sensibilizzazione verso i nativi contro la disinformazione e il pregiudizio. La differenza operata tra educazione per i migranti e sensibilizzazione per gli europei suggerisce in qualche modo che l’opera di integrazione abbia come onere preminente quello sui gruppi in arrivo, o comunque una differenza qualitativa dell’intervento sui gruppi. Il concetto di migrazione anche come problema da sciogliere è un portato non rimosso, nonostante le precedenti affermazioni positive e inclusive. Il manifesto tuttavia immerge anche gli enunciati ambigui in un discorso che li scioglie e ne indica la lettura più corretta e fedele all’ispirazione dei redattori. Una politica coraggiosa leggerà la richiesta di educazione e di sensibilizzazione come una diversificazione efficace al fine dell’unico obiettivo di fondo dell’integrazione, nel senso delle modifiche reciproche e non unilaterali dei soggetti. Infatti subito dopo l’approccio culturale è legato con la creazione di una base comune di valori, dove il migrante deve essere messo nella possibilità di conoscere e partecipare alla cultura di arrivo, senza menzione di alcun dovere. Va segnalato, di nuovo, un certo contrasto tra i concetti di base comune di valori e di cultura di arrivo, il cui legame non è espresso e in effetti è leggibile la compresenza delle idee che la cultura di convivenza non possa che essere un incontro tra le rispettive, o invece quella del territorio.

Futuro

L’Europa è un destino comune non fatale ma affidato alla capacità dei suoi costruttori in ordine alla pace, all’uguaglianza, al rispetto per le diversità e per le minoranze, alla partecipazione democratica. È questo anche il ruolo geopolitico dell’Europa, una sorta di “superpotenza dei diritti umani”, in qualche modo chiamata a essere migliore di quelle attuali. Il manifesto presenta di seguito una risoluzione dei diritti umani, riconosciuti come termine imprescindibile in quanto espressione del messaggio evangelico. I valori cristiani sono quindi all’origine dell’adesione ai diritti umani, alla loro promozione nell’Unione e alla partecipazione all’Unione stessa. Il confronto tra valori cristiani e diritti umani è stato un altro dei punti delicati di dialogo, nello stabilire i rapporti e la precedenza tra gli uni e gli altri. In conclusione, posta alla fonte l’imprescindibile ispirazione cristiana, si è riconosciuto che il Vangelo e l’azione dei cristiani non è slegabile dalla promozione dei diritti umani e in quanto ne giova dell’Unione Europea. In questo modo i diritti umani godono di autonomia e non condizionalità, in quanto espressione specifica del cuore della spiritualità cristiana, e non strumento temporaneo e condizionato dell’azione ecclesiale. Posta sistemazione alla costruzione valoriale, la riflessione sul futuro diviene concreta e tocca i temi dello sviluppo sostenibile, della questione climatica, della relativa responsabilità europea, pubblica e privata, non solo entro i confini continentali. Si accenna, forse in misura non cosciente appieno o comunque non esplicita, a una sorta di democrazia energetica interna parlando di una politica comune per fornire a tutti i paesi comunitari risorse energetiche adeguate attraverso una diplomazia globale mirata non solo ai rapporti economici e di sfruttamento, ma alla contaminazione e integrazione culturale. Questo enunciato supera le ambiguità di integrazione interna con cui concludeva la sezione precedente, ampliando l’orizzonte, sia permesso dirlo, a una sorta di “circolo ermeneutico” gadameriano – il quale, in definitiva e secondo coerenza, è destinato a una “fusione degli orizzonti”. Tornando all’interno dell’Europa, si riconosce un gap tra istituzioni  comunitarie e cittadini, una distanza di confidenza e di conoscenza, contro cui si chiede un’accessibilità maggiore alle iniziative e alle opportunità, specialmente per le piccole comunità e quelle non urbane, perché, è detto chiaramente, la comprensione delle competenze comunitarie non dovrebbe essere riservata all’elite istruita, ma a tutti. Per questo il manifesto conclude tornando a sottolineare il ruolo delle comunità e organizzazioni locali, per le quali ponti di intermediazione con la più vasta società non possono che essere i rappresentanti politici, in una riedizione della concezione cattolica dei corretti rapporti tra persone, corpi intermedi e politica.

Dopo aver attraversato il documento nei punti più significativi, possiamo concludere traendo quei nodi problematici rivelati dalla discussione di novanta studenti universitari cattolici, provenienti da tanta parte d’Europa. Certamente è stata colta una specificità della proposta di civiltà europea, la quale costituisce una possibilità di superamento dei processi precedenti di costruzione politica e valoriale in una diversa e più coraggiosa inclusione del pluralismo, della diversità, della libertà, del diritto. In questa cornice, le fondamenta di principio non sono più astratte, ma si incarnano nella cura della persona umana, in una coincidenza tra soggetto, valore, principio e senso profondo della comunità da realizzare. È un patrimonio spirituale sovrabbondante che aspira all’universalità ma, soprattutto, all’intreccio con l’umanità di tutta la Terra.  L’orizzonte lontano sembra essere una liberazione dell’uomo da ostacoli materiali e immateriali da lui stesso creati, dall’oppressione dell’interesse, del dovere, dell’obbedienza a qualcosa di estraneo al suo spirito. Questa liberazione è qualcosa di lontano e di intravisto, però su di un cammino narrato di incontro, di ascolto, di mutamento, di pace. L’insufficienza e, in certi momenti, la condanna dello stato attuale delle cose, delle comunità cui apparteniamo – di noi stessi? – è la spia dell’aspirazione a questo orizzonte nuovo.

Le fragilità emerse hanno comunque un certo peso. La distinzione tra Europa e Unione Europea rimane indeterminata, a sottolineare il rapporto problematico tra architettura istituzionale comunitaria e orizzonte continentale. Se l’interlocutore di riferimento resta l’Unione, a volte il linguaggio corre alla più vasta Europa come organismo, sentimento di civiltà unitaria cui è spontaneo rivolgersi.

Ho già scritto dell’emersione di posizioni non completamente conciliabili riguardo alle politiche migratorie, se non per mediazione concettuali, che del resto non si avvertono come del tutto definitive. La sensibilità del redattore lega strettamente a questo e praticamente a tutti i nodi caldi la questione delle comunità locali, la cui rappresentanza e il legame con le altre parti in causa è sentito come obiettivo di prima grandezza ancora da raggiungere.  Si avverte: lo squilibrio centri-periferie, città-campagne, rivelatosi a livello globale forse il tema di fondo della gestione della collettività in questo secolo, è per l’Europa una sfida che chiama in causa le profondità della motivazione, della legittimità del sogno comunitario. Nella valorizzazione delle culture, delle differenze e delle minoranze, la domanda se ci si riferisca alle comunità nazionali riconosciute o alla più vasta galassia di soggettività di diverso segno, che diversificano e ad oggi talvolta sfidano dall’interno fino alla frattura proprio quelle comunità nazionali, rimane aperta. Se il discorso, come su di uno spartito, ha un inequivoco “andamento inclusivo”,
questo non risolve fino in fondo. La prescelta delle parole del presidente Mattarella rispetto a quelle della dichiarazione di Abu Dhabi va in questa direzione, preferendo un riferimento meno sanzionatorio, meno profetico, meno definitivo. Per questo il manifesto della Scuola va messo a confronto con la Dichiarazione di Firenze, presentata dai sindaci e dai vescovi del Mediterraneo il 26 febbraio. Nel riconoscimento e nel desiderio di obiettivi comuni, di processi lunghi tutti da apprestare, entrambi i documenti mostrano vette di coraggio e di visione nell’immaginare politicamente anche in contraddizione con il mondo contemporaneo, nel vedere e mostrare luoghi abitabili. Allo stesso tempo, entrambi nella loro lettera portano inevitabilmente la fatica e i segni della mediazione e del compromesso.

In questo manifesto l’avvicinamento è stato, in particolare, tra diversi cattolicesimi, che si immaginano anche molto differentemente nella collocazione sociale, politica, culturale, ideologica, nella propria composizione interna, nei propri rapporti e nel proprio ruolo con gli uomini e le istituzioni del nostro tempo. La differenza tra Europa orientale e occidentale e mediterranea era prevedibile, e non è mancata. L’opzione, anche solo lessicale, tra diritti umani e valori cristiani ha avuto il suo rilievo, e il risultato finale ottenuto per questa volta può essere motivo di soddisfazione. È mancata nel confronto e manca nel manifesto una menzione sulla questione degli armamenti, che oggi ha il ruolo che gli eventi le conferiscono. Tra i motivi possono esserci senza dubbio una “dimenticanza”, rispetto a temi sentiti come prioritari, e anche il sentimento di potersi avvicinare a un altro nucleo bisognoso di mediazione. Come redattore tra i redattori, avanzo un’altra spiegazione. Dopo aver scolpito nell’introduzione valoriale del manifesto l’avversione senza eccezione alla guerra, dopo aver pensato all’attuale crisi bellica nei termini di accoglienza e di responsabilità sociale, l’argomento degli armamenti si è rivelato completamente al di fuori della concezione, dell’orizzonte. La lettura che avanzo è che, come non vi sono leggi specifiche finché un aspetto non si rivela alla sensibilità pubblica, così la proliferazione bellica non è stata compresa dalla discussione perché assolutamente distinta dal comune sentire della Scuola. Tra tutti i punti che hanno necessitatato di tempo e di approfondimento, le armi non sono nell’immaginario dei novanta studenti europei convenuti a Firenze, anche in questo momento difficile. Se questa lettura è giusta, nel manifesto questa assenza è significativa almeno tanto quanto le presenze. Un tratto invece leggibile nel corso di tutto il manifesto, e che ha riunito tutte le sensibilità, è la democrazia e la libertà non tanto come diritto di coltivarsi nel privato, ma come luoghi da abitare in una partecipazione che è la realizzazione in atto della stessa libertà, presente in potenza nel patrimonio comunitario. La democrazia e la libertà non sono piene, se non vissute nella condivisione del costruire collettivo, il loro riconoscimento come valori sancisce, nel manifesto, lo spontaneo automatico ingresso nel pubblico, nell’azione.

Il valore fondante dell’Europa infatti è riconosciuto in un’azione faticosa e complessa, l’accettazione, e l’Europa stessa è un destino che non ha potere se non dall’azione di chi vi aderisce. Se vogliamo trovare, tra tutti, un messaggio fondamentale del manifesto della Scuola europea di formazione alla politica, che abbia attratto a sé tutti i partecipanti, è che non si può dire Europa senza dire azione, che sia rivolta all’esterno, alla vera fatica della pace, agli altri.

  1. A. Manzoni, Marzo 1821.