Verso il “bene nascosto”:

intervista a don Luigi Maria Epicoco

 Don Luigi Maria Epicoco, giovane teologo e filosofo, 
già assistente del gruppo FUCI dell'Aquila, 
è professore stabile all'ISSR Fides et ratio dell'Aquila e
 docente incaricato di filosofia presso la Pontificia Università Lateranense. 
Inoltre, è assistente ecclesiastico del Dicastero per la comunicazione 
ed editorialista dell’Osservatore Romano.

a cura di Stefano Pignataro, presidente del gruppo FUCI di Salerno

 

Don Luigi Maria Epicoco è stato ospite lo scorso 8 Dicembre alla Chiesa “Maria Santissima Immacolata” di Salerno, invitato dal Parroco Giampiero Canelli a tenere una catechesi dal titolo “Santi ed Immacolati al Cospetto di Dio”. Con l’occasione noi fucini di Salerno abbiamo avuto il piacere di incontrarlo e di raccogliere da lui qualche spunto significativo sull’attualità dello slancio innovativo del Concilio, che vogliamo condividere.

Egli recensendo il volume dello storico della Chiesa Alberto Melloni (“Persino la Luna. 11 ottobre 1962: Come papa Giovanni XXIII aprì il Concilio”; Utet, 2022) riprende la riflessione su quello che, in questi decenni post-conciliari, il ceto intellettuale cattolico e lo stesso clero si è prefisso come obiettivo di studio critico: spogliare il Concilio di ogni banalizzazione ed estremizzazione, ma coglierne l’esatto significato della sua ardua missione di rinnovo delle coscienze spirituali e civili per soffermarsi sui mutamenti da esso recati alla luce del messaggio evangelico.

 Una concezione, che, a dire di Don Epicoco, approfondisce e deve approfondire la fruizione del messaggio della Chiesa nei confronti dell’individuo e della società.

 

Don Epicoco, lei, tra le sue mansioni, è anche Assistente ecclesiastico del Dicastero per la Comunicazione, illustre studioso di comunicazione. Un anno fa si è celebrata e ricordata la figura di Don Giacomo  Alberione  a 50 anni dalla morte. Lo stesso Alberione era presente al Concilio. Quale la sua lezione di nuova evangelizzazione nei Medium di massa, anche secondo la lezione del Concilio?

La grande intuizione di Don Giacomo Alberione è stata quella di comprendere che la comunicazione non è fatta solo di mezzi; la comunicazione è soprattutto un desiderio di creare delle relazioni, un concetto che, come cristiani, non dobbiamo mai dimenticarci. La comunicazione non è un semplice passaggio di informazioni ma il costruire un rapporto. La vera comunicazione fa questo, crea comunione, crea delle vere e proprie comunità. Ciò è molto difficile in questo nostro tempo perché vi è una sorta di individualismo generale anche nella cultura. È più facile essere sui social e leggere tante informazioni sull’altro ma non entrare mai in relazione con l’altro. Abbiamo una grande opportunità con la tecnologia ma essa va vissuta cristianamente, e con l’intento prioritario di mettere sempre più in evidenza il fattore relazione.

 

Il Concilio cercò di contrapporre il confronto e la speranza agli “anatemi” del secolo passato di una Chiesa, forse, eccessivamente tradizionalista (ma figlia dei suoi tempi) scevra da sperequazioni intellettualistiche. Quale elemento tenne insieme il tutto e come la Chiesa riuscì ad amalgamare la Fede ma nel solco della modernità?

Io non contrapporrei un “prima” ed un “dopo”, direi semplicemente che il coraggio che il Concilio dimostra non è il sentirsi migliori rispetto al passato, ma l’osare riprendere il largo perché ci si sente sicuri di Gesù Cristo. Noi possiamo anche fare delle scelte profetiche o fare scelte diverse nella nostra vita solo perché ci sentiamo certi di qualcosa. L’errore di un certo tradizionalismo è pensare che noi stiamo mettendo in discussione il fondamento. In realtà si può prendere il largo solo se sia chiaro il fondamento; e la prova che si crede davvero in un fondamento è la capacità di saper rischiare.

 

Qual è la lezione del Concilio Vaticano II ai mutamenti di una società in continua evoluzione in quegli anni di cambiamento economico e di costume? Pensiamo anche ai decenni successivi fino ai nostri giorni…

Credo che la lezione attuale del Concilio, che rimane assolutamente attuale, sia lo sguardo benedicente che ha sulla realtà: vedere il bene, riconoscere il bene, sapere che Dio è all’opera, mettersi contro quelli che Papa Giovanni XIII chiamava “i profeti di sventura”, coloro che hanno uno sguardo solo alle cose che non vanno, che raccontano solo la crisi, raccontano soltanto l’inquietudine… In realtà c’è tanto bene nascosto. Il Concilio è come se avesse voluto dare nuovo spazio al bene, ad avere uno sguardo benedicente alla realtà e sulle cose. Credo che se noi conservassimo questo sguardo benedicente ci accorgeremmo che siamo chiamati a potenziare il bene e non semplicemente a denunciare il male perché denunciare il male eccessivamente ci convince che, in fondo, il bene non esiste.

 

“Questo ci fa dire da subito che il suo contributo alla celebrazione di questo anniversario non è un mero resoconto storico, ma un’appassionata disamine che cerca di far emergere la vitalità nascosta sotto le troppe facili semplificazioni storiche che negli anni passati hanno riletto questo momento storico troppo spesso incasellandolo in delle semplificazioni che non tengono conto della vera portata e profondità.”¹

 

Note: (1) Don Luigi Maria Epicoco, “1962-2022-La carezza del Concilio”, Doppiozero, 12 ottobre 2022)