NUOVE GUERRE, VECCHIE DOMANDE: COME ARRIVARE ALLA PACE?

di Giacomo Ghedini

DOTTORE DI RICERCA IN STORIA CONTEMPORANEA DEL CRISTIANESIMO,
RICERCATORE POST-DOC PRESSO IL CENTRE D’HISTOIRE DE SCIENCES PO PARIS
E BORSISTA DEL CUC (CENTRO UNIVERSITARIO CATTOLICO) DELLA CEI,
GIÀ FUCINO DEL GRUPPO DI PADOVA, RAF E SEGRETARIO DEL CONSIGLIO CENTRALE

Alla fine dei giorni […]
Spezzeranno le loro spade
e ne faranno aratri,
delle loro lance faranno falci;
una nazione non alzerà più la spada
contro un’altra nazione,
non impareranno più l’arte della guerra.
Isaia(2,2.4)

Mentre scrivo, è ancora recente la terribile notizia che i bombardamenti russi in Ucraina hanno colpito anche il memoriale Babyn Yar alle vittime della Shoah, a Kiev¹. Nuovi morti si sommano a quelli di ottant’anni fa, che pure avrebbero dovuto farci da monito. Come le guerre, anche le domande che le accompagnano si ripetono: esiste una “guerra giusta”? È lecito sottrarsi radicalmente alla chiamata alle armi, alla spirale della forza che «rende chiunque le sia sottomesso una cosa»²?

Partiamo dalla prima. Recependo la riflessione di Agostino da Ippona, ripresa da Tommaso d’Aquino³, il Catechismo della Chiesa Cattolica recita al n. 2309 alcune «strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare:

  • che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo;
  • che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci;
  • che ci siano fondate condizioni di successo;
  • che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare»⁴

Queste indicazioni, che pure hanno il merito di confrontarsi con la complessità del reale e proporre un compromesso tra «l’imperfezione della causa e la fedeltà ai valori»⁵, non sono tuttavia immuni da problematicità. Ad esempio: chi è chiamato a valutare se queste condizioni siano o meno rispettate? Sempre secondo il Catechismo, «fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi la valutazione di tali condizioni di legittimità morale»⁶. Non sfuggirà però al lettore il fatto che queste parole, lungi dall’archiviare la questione, la spostano. Parafrasando il Platone de La Repubblica: chi valuterà i valutatori? Come riassumeva incisivamente pochi mesi fa il pastore valdese Ferrario: «le infinite varianti della guerra giusta hanno legittimato tutte le guerre ingiuste della storia»⁷.

C’è poi un altro punto fondamentale da considerare, su cui insisteva molto, ad esempio, il compianto Gino Strada: rispetto alle guerre d’epoca moderna, quelle contemporanee coinvolgono in misura sempre maggiore i civili. Di più: dai massacri di Hiroshima e Nagasaki, siamo tragicamente entrati nell’era nucleare. In un tempo in cui alcuni paesi potrebbero sganciare bombe atomiche, si può ancora parlare del ricorso difensivo alle armi come di una soluzione proporzionata (e dunque legittima) o non diviene invece ormai sempre “estraneo alla ragione ritenere che la guerra possa essere uno strumento adatto per rivendicare dei diritti violati”? Non a caso, negli ultimi anni il Magistero pontificio, supportato da un vasto numero di intellettuali, ha fatto dichiarazioni via via sempre più restrittive nei confronti della possibilità di una «guerra giusta»¹⁰, al punto che monsignor Bettazzi, uno degli ultimissimi vescovi in vita ad aver partecipato al Concilio Vaticano II e già presidente di Pax Christi, appena pochi anni fa si diceva ottimista nei confronti della possibilità che la Chiesa potesse arrivare a rifiutarla definitivamente¹¹.

A livello di Santa Sede, una neutralità attivamente critica nei confronti di tutti i conflitti militari è sedimentata almeno dai tempi di papa Benedetto XV e del suo inequivocabile giudizio sulla Prima guerra mondiale come «inutile strage». C’è da un lato il tentativo di dare fiducia all’Onu come istituto di diritto internazionale¹² e, dall’altro, la scelta di porsi come forza diplomatica mediatrice, in particolare nel dialogo tra le religioni¹³. Entrambe le azioni sono fondamentali, eppure la recente invasione dell’Ucraina ci interroga anche su questo: cosa ha fatto l’Onu per evitarla e cosa sta facendo per farla cessare? E la recente omelia del patriarca ortodosso russo Kirill – che ha cercato di giustificare la guerra offensiva di Putin come una sorta di conflitto metafisico di legittima difesa contro l’espansione ideologica occidentale filo-Lgbt(!)¹⁴ – non dà forse tristemente ragione al provocatorio titolo di un recente saggio del sociologo Paolo Naso: Le religioni sono vie di pace? Falso!¹⁵? Naturalmente, lungi dallo scoraggiarci, la constatazione di quanto ancora vi sia da fare in questo campo deve motivarci a trovare sempre nuovi argomenti per sgomberare il campo dagli equivoci: la guerra, oggi, Non nel nome di Dio¹⁶! Su questa scia, il recentissimo intervento di papa Francesco in un confronto proprio con il patriarca Kirill: «le Chiese non devono usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù […] sono chiamate a contribuire a rafforzare la pace e la giustizia. Le guerre sono sempre ingiuste, perché chi paga è il popolo»¹⁷.

Ma passiamo ora alla seconda questione: se a dichiarare le guerre sono i governi, a combatterle restano gli individui. La recente chiamata al servizio militare di tutti gli uomini ucraini tra i 18 e i 60 anni ci interpella in primapersona, eppure la problematica è remota: restando alla tradizione occidentale, già tra gli antichi greci troviamo prese di posizione nette contro le guerre, ad esempio tra i per- sonaggi del commediografo Aristofane (cfr. Lisistrata eAcarnesi) e del tragediografo Euripide (cfr.Ecuba,Troiane,Andromaca,Elena). Tra i latini, il poeta stoico Lucano, morto suicida a 24 anni per sfuggire alla persecuzione di Nerone, scriveva:

Perché, o soldato, spargi pianti inutili e non ammetti che obbedisci al delitto di tua spontanea volontà? Fino a questo punto hai paura di ciò che tu stesso rendi temibile? Cesare dia pure il segnale di combattimento: tu non obbedire a quel crudele richiamo! Levi pure le insegne: tu rimani fermo.
Così, la guerra civile scomparirà. Ora vieni, o divina Pace. Ora la nostra generazione ha il potere di decidere del futuro: scompaiano le scelleratezze!¹⁸.

Tesi radicali come queste, tuttavia, erano più esercizi letterari che concrete forme di obiezione di coscienza. Per trovare esempi di queste ultime, bisognò attendere la diffusione all’interno dell’Impero romano di quel movimento religioso di matrice giudaica che avrebbe preso il nome di “cristianesimo”.

Nei Vangeli, benché si trovino numerosi passaggi di nonviolenza radicale (pensiamo anche solo a Matteo 26,52), non si segnalano prese di posizione da parte di Gesù o degli apostoli contro il servizio militare. La Chiesa dei primi secoli non aveva quindi una posizione univoca, ma era divisa tra una maggioranza, che lo riteneva un dovere del cristiano nel mondo (sulla scia del “date a Cesare quel che è di Cesare”), e una minoranza (assai rumorosa, però, come dimostrato ad esempio dalle accuse in merito rivolte ai cristiani da parte di Celso¹⁹) disposta talora al martirio pur di sottrarvisi²⁰. Tra questi ultimi Massimiliano di Tebessa, oggi venerato come patrono degli obiettori di coscienza: un giovane di 21 anni, messo a morte nel 290 d.C. per il suo rifiuto di prestare servizio militare in quanto cristiano e dunque ostile a ogni “male facere”. Già alcuni decenni prima, l’apologista Tertulliano, nel De Corona, affermava:

«Prenderà forse parte agli scontri armati il figlio della Pace? Porterà in mano quella lancia con la quale fu trapassato il fianco del Cristo? […] l’appartenenza all’esercito non garantisce l’impunità dalle colpe che uno commette. Occorre, piuttosto, affrontare il martirio»²¹.

Di questa concezione radicale dei cristiani come «sacerdoti della pace»²² poco sarebbe sopravvissuto, durante il passaggio del cristianesimo da religione di una minoranza oppressa a religione di stato (e talora oppressiva): l’esenzione dal servizio militare per i chierici, ancora oggi in vigore.

È specialmente nel corso del ventesimo secolo che il tema dell’adesione o meno del singolo all’esercito tornò a porsi. Durante le due guerre mondiali, vi furono alcuni (pochi) casi di obiezione di coscienza, legati per lo più a correnti marginali politiche anarchiche o religiose, ad esempio quaccheri e testimoni di Geova. Un caso interessante è quello del contadino cattolico austriaco Frantz Jägerstätter (1907-1943), che rifiutò la leva militare e, per questo motivo, venne messo a morte; nel 2007 è stato beatificato. Nell’Italia del primo dopoguerra, poi, un grande teorico della nonviolenza attiva fu Aldo Capitini, che insieme ad altri ideò un’alternativa al servizio militare: il “servizio civile”. Gran parte degli obiettori italiani si unirono allora attorno a questa proposta, arrivando, nel 1972, ad ottenere la legalizzazione dell’obiezione di coscienza (legge n. 772) e, nel 1986, la parificazione in termini temporali tra servizio civile e servizio militare (prima il servizio militare era fatto durare di meno rispetto a quello civile, per disincentivare quest’ultimo)²³. Infine, nel 2005, la sospensione in Italia del servizio militare (e civile) obbligatorio.

In questi giorni (marzo 2022), con 391 deputati favorevoli sui 421 presenti, la Camera del Parlamento italiano ha votato un aumento da 68 a 104 milioni di euro al giorno in spese militari. A conti fatti, non sembra davvero più così impossibile che si possa tornare a parlare anche di leva obbligatoria. Quando (e se) quel giorno verrà, come giovani cittadini e cattolici penso che dovremo essere pronti ad affrontare la complessità delle questioni. Esiste la tradizione della cosiddetta “guerra giusta” ed esiste quella della nonviolenza radicale; la prima ha certamente molti argomenti (specie davanti a un’invasione come quella di Putin in Ucraina) ed è ancora oggi maggioritaria, ma entrambe hanno una loro storia e le loro ragioni; tra le due, possono esservi posizioni di compromesso, ad esempio la possibilità di cooperare alla difesa in maniera non violenta (assistenza ai feriti, ecc).

Per discernere è utile «sedersi fra il passato e il futuro, avendoli presenti entrambi»²⁴. Considerare, come scriveva Giovanni Paolo II nella sua denuncia alla guerra in Iraq, che le nostre scelte devono essere finalizzate alla pace e che «non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono».²⁵

 

  1. A. Salomoni, Babyn Jar nella guerra contro l’Ucraina, «il Mulino»(11 marzo 2022).
  2. S. Weil, L’Iliade o il poema della forza, in La rivelazione greca, a cura di M.C. Sala e G. Gaeta, Adelphi, Milano 2014, p. 33.
  3. Cfr. Agostino, De Civitate Dei, IV, 6; Tommaso DAquino, Summa Theologiae, II-II, 40. Interessante sottolineare come, parallelamente, anche presso altre tradizioni religiose venne compiuta una riflessione simile. Ad esempio, Maimonide (1138-1204) dedicò al concetto di “guerra giusta” diversi capitoli della sua Mishnè Torah, per cercare di definirne dei margini stringenti. Cfr. R. della Rocca, Guerra e pace, consultabile sul sito bit.ly/3kHDGLv.
  4. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2309.
  5. E. Mounier, Il personalismo, Ave, Roma 1978, p. 132. Cfr. Id., I cristiani e la pace, prefazione di S. Ceccanti, Castelvecchi, Roma 2022.
  6. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2309.
  7. F. Ferrario, Chiesa ed eserciti, in «Confronti» (ottobre 2021), p. 42. Cfr. C. Preve, Il bombardamento etico. Saggio sull’interventismo
    umanitario, sull’embargo terapeutico e sulla menzogna evidente, Petite plaisance, Pistoia 2000.
  8. Pacem in terris.
  9. I Nobel per la pace al Papa: «Via la dottrina della guerra giusta», in «La Stampa» (12 dicembre 2014).
  10. Nel 2014, papa Francesco arrivò a esprimersi così: «dove c’è un’aggressione ingiusta, posso soltanto dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo. Quante volte, con questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista!» (Francesco, Conferenza stampa durante il volo di ritorno dalla Corea, 18 agosto 2014).
  11. Pax Christi, Bettazzi: non parliamo più di “guerra giusta”, in «Radio Vaticana» (15 aprile 2016).
  12. L’apice resta il discorso di Paolo VI in cui egli si espresse con chiarezza: «Jamais plus la guerre! C’est la paix, la paix, qui doit guider le destin des peuples et de toute l’humanité! […] Vous poussent à étudier les moyens de garantir la sécurité de la vie internationale sans recourir aux armes: voilà un but digne de vos efforts, voilà ce que les peuples attendent de vous. Et pour cela, il faut que grandisse la confiance unanime en cette Institution, que grandisse sonautorité». Tratto da Discours du pape Paul VI à l’Organisation des Nations Unies, 4 ottobre 1965
  13. Basti richiamare l’iniziativa delle religioni per la pace ad Assisi, inaugurata da papa Giovanni Paolo II nel 1986 e in seguito portata avanti annualmente dalla Comunità di Sant’Egidio (cfr. Comunità di Sant’Egidio, Lo spirito di Assisi. Dalle religioni una speranza di pace, San Paolo, 2011). In particolare, negli ultimi anni, passi in avanti ufficiali erano stati fatti grazie a incontri e documenti quali il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato il 4 febbraio del 2019 ad Abu Dhabi da papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb.
  14. Patriarca Kirill: giusto combattere, è contro lobby gay, in «Ansa» (7 marzo 2022).
  15. P. Naso, Le religioni sono vie di pace? Falso!, Laterza, Bari 2019. Paolo Naso, docente alla Sapienza, valdese, è coordinatore del progetto Mediterranean hope per l’accoglienza dei rifugiati e della Commissione studi dialogo e integrazione della Federazione evangelica italiana.
  16. Cfr. J. Sacks, Non nel nome di Dio. Confrontarsi con la violenza religiosa, Giuntina, Firenze 2017. Jonathan Sacks, scomparso di recente, è stato rabbino capo della Gran Bretagna e del Commonwealth.
  17. Francesco , Videochiamata con Kirill, in «Vatican News» (16 marzo 2022).
  18. M.A. Lucano, La guerra civile, trad. di R. Badalì, Utet, Milano 2006.
  19. Cfr. Celso, Contro i cristiani, a cura di S. Rizzo, Rizzoli, Milano 2006.
  20. Cfr. A. H Arnack, Militia Christi. La religione cristiana e il ceto militare nei primi tre secoli, ed. it. a cura di S. Tanzarella, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2016.
  21. Tertulliano, De corona, trad. it. di F. Ruggiero, Mondadori, Milano 1992.
  22. Id., De spectaculis, 16, cit. in Guerra e pace nei padri della Chiesa, a cura di E. Butturini, Borla, Roma 2002, p. 170.
  23. Cfr. A. Maori, Gli eretici della pace. Breve storia dell’antimilitarismo pacifista dal fascismo al 1979, Labirinto editrice, Roma 1988.
  24. La frase è di don Lorenzo Milani, tratta da quel piccolo capolavoro di pensiero critico che è l’opuscolo (edito postumo) L’obbedienza non è più una virtù, reperibile anche online e sul quale, oggi, può essere saggio ritornare, per non dimenticare che ormai è tempo di considerarci «ciascuno responsabile di tutto».
  25. Giovanni Paolo II, Messaggio per la XXXV Giornata mondiale della pace, 1 gennaio 2002, Vaticano, 8 dicembre 2001