Di Allegra Tonnarini e Lorenzo Cattaneo

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha reso necessario scegliere una direzione, darci degli obiettivi, decidere su cosa puntare nel lungo periodo. I Fridays For Future e tutti i movimenti ambientalisti ci stanno ricordando che per poter vivere tra 30 anni su questo pianeta è necessario impegnarsi fin da oggi nella transizione ecologica. Questo non vuole essere un endorsement al PNRR o a Greta Thunberg, ma quanto più la constatazione che, finalmente, il Paese e il mondo sono stati chiamati a una missione di vitale importanza per l’avvenire e quindi a decidere il futuro. Non era e non è più sufficiente far funzionare bene l’apparato amministrativo o burocratico, ma è necessaria una visione politica flessibile che sappia evolversi con i cambiamenti rapidi da cui, ormai, siamo assaliti. Oggi preferiamo il tutto e subito, l’azione finalizzata a sé stessa. Siamo abituati ad affrontare solo le urgenze e non le priorità. È necessario, allora, fermarsi, studiare il tempo che abitiamo, individuarne le sfide e impegnarsi ad anticiparle, o, almeno, governarle e non esserne inesorabilmente trasportati. Siamo, dunque, chiamati a uno sforzo intellettuale e di pensiero a cui dobbiamo avere il coraggio di educarci e lasciarci educare.

Vorremmo ora condividere con voi una lettera di Giorgio La Pira, in risposta a una suora che gli chiedeva quali fossero i suoi progetti per Firenze qualora fosse stato eletto sindaco: “Vede, Madre Reverenda, io penso fare di Firenze quanto il Signore dice nella Sacra Scrittura a proposito di Gerusalemme: fare, cioè di questa città bellissima, il centro di attrazione dei popoli del Mediterraneo, dell’Africa nera, degli altri popoli nuovi di Asia. Ecco il programma che sarà svolto a Firenze, se il Signore mi chiamerà ad assumere la guida: fare di questa città cristiana, tanto prestigiosa, il punto di attrazione di tutta la Terra! Ardimento presuntuoso? No, atto di fede: semplice applicazione storica ad una città che Dio ha collocata sulla cima più alta della civiltà cristiana. Firenze cristiana attrae a sé, tutte le città e tutti i figli della Terra: a che fine? Per diffondere su di essa la grazia della bellezza, la luce, di cui Dio l’ha arricchita. Poesia? Sogno? Non importano le parole: i fatti restano; questa attrazione della città cristiana esiste e diventa ogni giorno più efficace e potente.”  

In queste poche righe è evidente lo sguardo profetico di La Pira su Firenze e sul mondo che, poi, si è trasformato in azioni di rilevante importanza nel suo agire politico. Per poter guidare consapevolmente la trasformazione della vita urbana e civile, il sindaco ricorda di chiederci quali siano le sue caratteristiche intrinseche, cosa ci rivelino di Dio e che direzione ci viene, quindi, indicata. La Pira suggerisce, dunque, di contemplare la realtà e la storia, ricercando la presenza di Dio rivelata nella città. Questo ci permette di collaborare al progetto che Dio ha per le nostre città. Il Signore non ci propone qualcosa di astratto o utopico, infatti, la Gerusalemme celeste non è un’utopia: è proprio una promessa reale e quindi affidabile che il Signore ci consegna. Noi siamo chiamati ad adoperarci con Lui per la sua realizzazione.  

Nel 2011, quando Jorge Mario Bergoglio era ancora Arcivescovo di Buenos Aires, in occasione di una predica disse: “La buona notizia è che il Signore è entrato nella nostra città, come in quella di Zaccheo, e questo ci dà slancio e ci spinge a uscire per le strade” e ancora nell’Evangelii Gaudium al n. 71: “La presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e gruppi compiono per trovare appoggio e senso alla loro vita. Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano a tentoni, in modo impreciso e diffuso”. Siamo chiamati, dunque, a non arrenderci alla realtà, ma a contemplarla, scrutarla, capirla per poi spenderci e impegnarci, con speranza, sulla via che viene indicata. È indispensabile non fermarsi alla lettura e all’analisi della realtà: ricerca e impegno non devono essere visti come termini antitetici, ma anzi, come ci ricorda il Cardinal Martini in “La dimensione contemplativa della vita”: “Sia l’attivismo frenetico, sia certe maniere di intendere la contemplazione possono rappresentare una “fuga” dal reale. Per far evolvere cristianamente questa situazione, non basterà risvegliare una ricerca di preghiera. Occorrerà anche purificare, orientare, cristianizzare certe forme scorrette o insufficienti di ricerca. In particolare occorrerà evitare le generiche contrapposizioni tra azione, lotta, rivoluzione, da un lato, e contemplazione, silenzio, passività, dall’altro. Bisognerà dare uno specifico orientamento cristiano sia all’azione, sia alla contemplazione”

 

Proprio la relazione tra la contemplazione della città e l’azione – quel cercare Dio nella fatica delle cose di ogni giorno – è la strada, per ognuno di noi, per portare l’ordine umano delle cose a quella pienezza escatologica desiderata da Dio. Tenere vivo e attento il nostro sguardo su questa dialettica (contemplazione/azione) è la chiave, la via per una piena cittadinanza cristiana. Perché, da una parte, siamo tutti chiamati ad agire nel nostro tempo, cioè a coltivare nelle nostre città una carità civile: a promuovere la giustizia sociale, il benessere comune, la concordia e la partecipazione ampia al bene collettivo, così da realizzare già qui e ora quella vita di pienezza attesa e promessa. Dall’altra parte, però, se non investiamo questo agire dell’afflato della trascendenza, non potremo andare oltre la pura gestione, la buona amministrazione dei problemi singoli e parcellizzati della nostra città. È grazie all’unione tra la contemplazione e l’azione che potremo realizzare, nell’anelito alla giustizia sociale, un riflesso della giustizia del Regno eterno, nella concordia civile, l’impronta della pace messianica, nella partecipazione collettiva, il riverbero della nostra comunione in Cristo. E far sì, in questo modo, come scrive Martini, che nella città si manifesti “il primato della Giustizia”. Quella giustizia che sola può farsi promotrice del bene dell’uomo, del bene materiale che aneliamo nell’oggi incerto della nostra vita, e di quello infinito, che è l’attesa viva di una cittadinanza eterna. 

Nel corso di questo modulo cercheremo di “leggere” le nostre città, analizzando le trasformazioni della vita urbana e il rapporto tra società e forme urbanistiche. Occorre però partire, credo, in questa analisi, dall’interrogativo su che cosa la città offra oggi agli uomini e alle donne che la abitano. Da una parte un luogo di dimora, un centro di cultura e di identità, una risposta alternativa all’erranza e al nomadismo che disperde l’umanità nell’incertezza. Dall’altra uno spazio aperto, una trasgressione di confini e di identità miopi, un luogo di incontri imprevisti. La città è il cuore di queste due tensioni contrapposte, dell’identità e dell’alterità, del radicamento e dell’apertura, della vicinanza elettiva e della prossimità inattesa. Ma è soprattutto il luogo in cui l’uomo instaura un rapporto diverso con il proprio domani, in cui è chiamato allo sforzo della progettazione e dell’innovazione del futuro, alla responsabilità della costruzione materiale e immateriale della società del domani e, allo stesso tempo, anche alla capacità di accogliere con intelligenza e coraggio l’avvento dell’imprevisto.

La città, potremmo dire, è quindi il luogo in cui il nuovo ha diritto pieno di cittadinanza. Il nuovo temporale, che è il nostro futuro inatteso, e il nuovo spaziale, che è la realtà del diverso, dello straniero, del nostro samaritano.

L’emergere del nuovo nelle città è d’altronde un fenomeno che possiamo apprezzare anche nell’analisi dell’aspetto urbanistico dei luoghi che viviamo. Stiamo assistendo infatti ad un grande cambiamento delle forme e delle coordinate spaziali e simboliche dei nostri contesti abitativi. Il dato forse più evidente è il superamento e l’ampliamento incessante dei confini delle realtà urbane. A questa espansione verso l’esterno si accompagna anche una ridefinizione della struttura interna delle città, a partire dal rapporto tra centro e periferia. Scrive il sociologo Neil Brenner: “Città e periferia sconfinano reciprocamente e irrimediabilmente l’una nell’altra. Le loro rispettive forme perdono ogni antico significato […]” Le città vedono dislocati i centri tradizionali del potere: pensate, per esempio, che le università e le chiese vengono oggi edificate nelle periferie. Gli spazi centralizzati e diacronici, quelli cioè in cui la popolazione converge in uno stesso luogo per partecipare ad un unico momento collettivo – come uno spettacolo teatrale – cedono il passo agli spazi sincronici e dislocati, in cui le persone fanno tante cose diverse nello stesso tempo – come le fiere culturali, i mercati etc.

Di fronte a questi elementi di trasformazione non possiamo non chiederci se stia cambiando anche il rapporto tra l’aspetto antropologico della città – cioè le caratteristiche della società, le aspirazioni delle popolazione, le tensioni e le istanze politiche, la partecipazione e la dialettica del vivere comune – e l’aspetto fisico e materiale delle stesse. C’è oggi una frattura tra questi due elementi? Tra il costruire e l’abitare una città?

In conclusione, di fronte alle sfide moderne delle nostre città, abbiamo, credo, una grande responsabilità: far sì che gli elementi preziosi di novità e di cambiamento non diventino, per molti, fattori di discriminazione, di povertà materiale e spirituale, di miseria umana. E la progettazione urbanistica della città è il primo tassello per esercitare questa responsabilità. Per questo abbiamo scelto di partire, nella nostra analisi, da un interrogativo: quale idea di cittadinanza vogliamo porre alla base della costruzione e della progettazione di una città oggi? E con questa domanda vi ringraziamo per l’attenzione e auguriamo a tutti un buon Modulo formativo!