di Matilde Boldrini *

La necessità di introdurre nel panorama politico-legislativo lo strumento referendario sorgeva nel primo dopoguerra per scardinare quel clima di tensioni e ingiustizie che il fascismo, come ogni dittatura, aveva imposto, ostacolo a qualsiasi tipo di libera manifestazione di volontà; la monarchia d’altra parte era stata costretta ad arrendersi. La Costituzione italiana riporta ancor oggi interi articoli pensati proprio per scongiurare la rinascita, in qualsiasi modalità ed in qualsiasi tempo, di un governo filofascista, proteso cioè all’annullamento del pensiero minoritario per un’idea di unità nazionale “unilateralmente” organizzata. Ciò che attribuisce, infatti, un valore assolutamente primario al nostro attuale ordinamento giuridico è proprio quell’inno alla democrazia al quale la nostra stessa Carta Costituzionale richiama; è la pluralità del pensiero e la congiunzione tra orientamenti che fa grande un popolo, e che introduce alla realtà dei fatti le libertà individuali, i principi umanitari ed in generale la possibilità reale che l’uomo possa vivere in un mondo senza tensioni, né guerre.
Con il referendum, lo strumento democratico per eccellenza (o per lo meno il più utilizzato), si dà al popolo l’occasione di esporsi in modalità diretta attraverso l’indicazione di voto. Le tipologie di referendum cambiano in base al contenuto della domanda referendaria; in seguito alla maggioranza ottenuta (percentuali che cambiano in base al tipo di referendum) la legislazione cambia o meno.

Con il referendum, lo strumento democratico per eccellenza, si dà al popolo l’occasione di esporsi in modalità diretta attraverso l’indicazione di voto.

Il referendum è stato il mezzo tramite il quale si è costituita la nostra stessa Repubblica Italiana e nella storia repubblicana è stato utilizzato decine di volte (il referendum istituzionale del 1946; il referendum di indirizzo del 1989; 17 referendum abrogativi per un numero totale di 67 quesiti referendari; 2 referendum costituzionali) prendendo piede in modo evidente dal 1974 con il noto quesito referendario sull’abrogazione della legge sul divorzio. Solo il 2016 conterà due referendum, il primo abrogativo, già conclusosi, sul tema delle trivelle, e il secondo confermativo previsto per il mese di dicembre sulla riforma costituzionale proposta dal governo Renzi.
Parlare di referendum per analizzare l’espressione di una scelta democratica, sembrerebbe la scelta più azzeccata, e deriva soprattutto dal fatto che tale strumento rispetto ad esempio all’elezione politica richiede per sua natura la conoscenza, seppur minima, dei fatti di cui la domanda referendaria tratta, e cioè entra nel merito di una specifica questione. Tale aspetto non è da sottovalutare quando si vanno ad individuare le problematiche che coinvolgono la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e politica, e in generale la loro attiva disponibilità democratica.
l6_1_3-4_2016Ma la “democrazia di ieri” esiste ancor’“oggi”? Alcuni sostengono che al suo posto si insinuino nuove strutture politico-sociali che pur mascherate da democrazia tendono a distruggerla. Tale opinione, posticipando il problema oggetto della riflessione, mette innanzitutto in discussione l’efficacia sociale delle azioni di ognuno e ipotizza, da una parte, un’apatia dilagante, e dall’altra, una completa incapacità di riconoscere la situazione reale, e di percepire che il meccanismo sociale non lascia vero spazio democratico. È possibile, quindi, che il cittadino di oggi si sia abituato ad un meccanismo di falsa democrazia e non sia più in grado, non solo di uscirne, ma neanche a volte di riconoscerlo? Che sia così oppure no, rimane il fatto che, ad oggi, si registri una forte diminuzione della partecipazione del popolo alla scelte collettive, aspetto questo che, al di là delle convinzioni di ognuno, pare elemento indiscutibile (basti mettere a confronto le percentuali di affluenza alle urne negli ultimi 20 anni con quelle delle elezioni referendarie, e non, precedenti).

Tornare a ragionare, insieme, sull’importanza sostanziale del governo democratico, ed insieme, sullo stampo dei costituenti, ripartire da ciò per recuperare e restaurare quella sapienza democratica che stiamo perdendo.

Data, quindi, l’obiettiva presenza di un problema, fondamentale è ora identificarne le cause e capire se si possa o meno trovare una soluzione ad esso. Se come alcuni sostengono ci troviamo in un momento di “decadimento” della democrazia, allora forse l’unica soluzione potrebbe essere quella di tornare a ragionare, insieme, sull’importanza sostanziale del governo democratico, ed insieme, sullo stampo dei costituenti, ripartire da ciò per recuperare e restaurare quella sapienza democratica che stiamo perdendo.
Parrebbe ovvio dire che la nostra nazione è una nazione democratica perché le fonti del nostro diritto lo sostengono e lo permettono, ma la questione non è così semplificabile. A volte quello che manca è l’osservazione della realtà di fatto ed oggigiorno anche la politica più aperta e disponibile al cambiamento che possa esistere si ritroverebbe a fare i conti con dei cittadini scostanti e disabituati alla politica stessa; cittadini che non hanno fiducia nel governo e non trovano ragioni, se non nel volontariato associazionistico, che possano giustificare in modo soddisfacente un loro interessamento al c.d. bene comune. La politica è ormai un taboo cui nessuno, o quasi, vuole avvicinarsi; e di conseguenza anche l’interessamento alle politiche di tutti i giorni e alle problematiche che quei quesiti referendari sollevano affievolisce. In pochi, ormai, si interessano, prendono a cuore, studiano, analizzano.
E così, all’ordine del giorno si contano atteggiamenti di avversione e di volontaria non partecipazione alla vita politica. Chi non legge i giornali, chi non ascolta il telegiornale, chi non vuole sentire parlare degli show televisivi che mettono a confronto i referenti dei vari orientamenti, chi ancora non ha un’idea chiara neppure della situazione politica della propria città; e a dire la verità, in cuor nostro, non possiamo dire di poter o voler biasimare questi atteggiamenti.

È la partecipazione che dà valore al pensiero democratico; è quanto di noi mettiamo nelle cose che facciamo che dà valore non solo a noi stessi ma anche al pensiero degli altri.

L’astensionismo dilagante delle ultime elezioni; l’ignoranza sui fatti e sulle questioni di grande interesse dovuta all’impossibilità dei più di avere una preparazione adatta a poter capire le questioni politiche, e a volte la completa non curanza e il voto random; l’impossibilità spesso di poter avere informazioni senza che le stesse non siano già state in qualche modo modificate, senza che giungano ammorbidite, o accomodate, o confezionate a piacimento da chi le presenta; il completo affidamento ad un pensiero politico, ad un colore di partito che porta ad essere inconsapevoli seguaci del dio di qualcun altro; sono tutte situazioni problematiche che la nostra società è chiamata ad affrontare.
La cultura della buona politica è qualcosa che non conosciamo più, oppure semplicemente che non vogliamo riconoscere? Un pensiero in merito forse è d’obbligo!
Eppure capiamo che auspicheremmo a qualcosa di più, che anche la maggior parte dei disillusi, cioè di coloro che si rifiutano di leggere il giornale perché le notizie vengono proposte in base agli interessi, che non riescono ad ascoltare gli interventi dei politici perché li ritengono pieni di parole regalate al vento, credono e sperano che qualcosa di più ci possa essere. Ma muoversi significherebbe esporsi, magari macchiarsi, magari si rischierebbe di dover trovare un compromesso, e questo non è già sintomo di qualcosa che rispetto la sua natura originaria risulterebbe corrotto? Ma vivere nella società non significa anche un po’ sporcarsi le mani per mettere a posto qualcosa che per ora non va?
Eppure sappiamo che la vera democrazia può esistere, ce lo dimostra la nostra stessa storia, ce l’hanno dimostrato i membri dell’assemblea costituente, e ce ne accorgiamo ogni volta nelle nostre situazioni quotidiane. È la partecipazione che dà valore al pensiero democratico; è quanto di noi mettiamo nelle cose che facciamo che dà valore non solo a noi stessi ma anche al pensiero degli altri. È la cooperazione a quel c.d. bene comune che dà importanza ad esso stesso. È l’attenzione agli altri e lo studio continuativo di ciò che avviene intorno a noi che fa di noi veri cittadini; cittadini che si informano, che parlano tra loro per capire cosa è meglio, che si fanno un’idea e che non si scordano la data del prossimo referendum per andare ad esprimere tale idee. Cittadini elettori attivi che per primi fanno politica.

* Laureata in Giurisprudenza e
membro della Commissione Nazionale di Studio
Formazione alla Politica 2016/2017 della FUCI