«Sentinella, quanto resta della notte?»
Se fosse un profeta?La sentinella risponde:
«Viene il mattino, poi anche la notte;
se volete domandare, domandate,
convertitevi, venite»
(Is 21, 11-12)

La profezia di Gesù

Le Sacre Scritture ci svelano in molte occasioni l’importanza del profeta. L’ascolto della Parola del Signore viene mediato da questa figura, la sola in mezzo al popolo capace di rivelare  la volontà di Dio svolgendo una ruolo centrale nella guida di Israele. Sin da Mosè, figura profetica per eccellenza, il popolo ebraico ha riconosciuto nella parola dei profeti una voce autorevole alla quale persino i re e i sacerdoti hanno prestato ascolto in spirito di obbedienza[1]. Ai profeti è stato affidato il dono di conoscere e il compito di comunicare un’immagine di  Dio autentica e liberarla così dall’errata concezione che il potere regale o religioso spesso generavano. Alla base di questa autorevolezza risiede la convinzione che il vero profeta «stabilisce un collegamento fra la religione della libertà di Dio e la politica della giustizia umana»[2].

La prima comunità cristiana ha riferito a Gesù i principali passi profetici. «Egli è Gesù, cioè il salvatore; è il Cristo, cioè il Messia, discendente di Davide, il figlio Emmanuele annunciato da Isaia e il Figlio dell’uomo di origine celeste annunciato da Daniele»[3]. Tuttavia in molte occasioni i vangeli ci mostrano la difficoltà di credere che Gesù sia – anche solo –  «un» profeta. La formula interrogativa «Se fosse un profeta»? (Lc 7, 39) si presta ad almeno due strade interpretative. La prima permette all’uomo di fede – in continuità con la storia della salvezza di Israele –  di aprirsi alla possibilità di vedere in Gesù di Nazareth un profeta per poi riconoscere in esso il Messia ed iniziare quindi un percorso di sequela. Una seconda porterebbe invece a non accogliere l’aspetto profetico di Gesù poiché in contrasto con gli studi, le regole, le usanze e le aspettative (attese del Messia) dei maestri della Legge. Entrambe le strade ci aiutano a conoscere l’identità del Maestro di Nazareth.

L’evento di Cristo infatti rivela un’importante novità ed un elemento di differenza rispetto alla tradizionale azione profetica e cioè che «non vi è mai una perfetta corrispondenza tra profezia e suo compimento» dato che «il compimento cristologico trascende la profezia, perché la compie»[4]!

Alla luce di ciò – vale a dire della Resurrezione di Cristo come compimento della promessa – si basa la differenza tra linguaggio profetico e linguaggio apocalittico. Se il primo parte dal valore del tempo presente per annunciare una speranza nell’oggi capace di cambiare la storia, la teologia dell’Apocalisse di Giovanni ci mette davanti ad un’attesa della fine del tempo presente basata su un riscatto certo, «già» rivelato, ma situato nel futuro del «non ancora».

Profezia è testimonianza

Il profeta che non vive la parola annunciata rende vana la parola profetizzata «in nome di» sino a rivelarsi egli stesso un falso profeta, poiché rivelatore di una parola non vissuta e non vivibile. In una parola il profeta è tale solo se è anche testimone. Questa esigenza, incarnata nell’eredità trasmessa da Cristo, impone l’abbandono di una concezione della testimonianza o puramente intellettuale – che intrappola all’inazione – o puramente individualistica – legata solo alla sfera del sentire soggettivo.

Le Scritture del Nuovo Testamento ci mostrano come l’annuncio – fatto di insegnamenti e guarigioni – passa sempre attraverso la relazione triadica tra testimone, testimoniato e destinatari[5].

A fronte di tale relazione, il cristianesimo anche negli ultimi due secoli, come in ogni periodo della storia, ha incontrato dei rischi che hanno cercato di fare da ostacolo alla trasmissione del messaggio evangelico. Da una parte l’istanza della modernità secondo cui la testimonianza dovrebbe coincidere con la sola sfera personale poiché il coinvolgimento dell’Altro rappresenterebbe un’usurpazione della sfera pubblica. In un contesto di questo tipo è facile riconoscere il risultato della violazione di questa «tolleranza religiosa»: un conflitto sterile tra comunità cristiane e società civile permeato da stereotipi e accuse reciproche. Dall’altra parte alcuni teoremi postmoderni hanno ridotto il cristianesimo a religione esoterica rivolta al benessere del singolo o  a religione civile che ha come scopo primario il riconoscimento e il consenso del tessuto sociale a discapito della sua autenticità.

Nella complessità del mondo contemporaneo esiste un’ «inattualità»[6] della testimonianza che se da un lato la rende imperfetta dall’altro la spinge ad essere il più profetica possibile.

Il cammino comune: la chiesa

La splendida immagine della sentinella offerta da Isaia rivela un compito delicato affidato a tutta la comunità cristiana «La risposta è enigmatica e forse anche deludente […] Forse il profeta non sa, neppure oggi, indicare quando verrà il mattino, ma ne attesta la sicura venuta […] e chiede che, nel frattempo, si continui a domandare, a interrogare e a interrogarsi sul giorno e sulla notte, dunque sul senso del tempo, della storia e della vita, perché questa attività di riflessione e interrogazione non è estranea al movimento della conversione, del ritorno a Dio»[7].

Il Concilio Vaticano II non ha dimenticato di affidare ad ogni membro della Chiesa  le dure prove di uno sguardo profetico e le esigenze della testimonianza.

Numerosi testimoni della storia del Cristianesimo ci hanno trasmesso l’urgenza di non considerare la sequela radicale di Cristo alla portata di pochi casi singolari ma il loro esempio ha coinvolto migliaia di uomini in un cammino comune, concreto e pienamente umano.

Ringraziamenti

Esprimiamo il nostro più sentito ringraziamento ai relatori Luciano Manicardi e suor Benedetta Zorzi e a quanti hanno permesso la pubblicazione di questa opera.

Un grazie particolare desideriamo rivolgerlo ai due curatori Alberto Ratti e Andrea Minardi, già membri della presidenza nazionale, alla Fondazione Fuci e alle Edizioni Studium per il loro importantissimo contributo.

* Pubblichiamo la prefazione al volume che raccoglie gli atti della prima settimana teologica organizzata dalla FUCI dal 23 al 28 luglio 2012 presso il Monastero di Camaldoli.



[1]   P. BOVATI, Il profeta fratello (Dt 18, 9-22), in Parola, Spirito e Vita, quaderno n.41 (2000), pp. 28-29
[2]   W. BRUEGGEMANN, L’immaginazione profetica, p. 34
[3]   Introduzione al libro dei Profeti, La Bibbia di Gerusalemme.
[4]   G. SEGALLA, Il compimento della profezia nel NT, in Parole, Spirito e Vita, quaderno n.41 (2000), p. 117
[5]   M. NERI, La testimonianza cristiana, G. Angelini e S. Ubbiali, p. 31
[6]   G. ANGELINI, La testimonianza cristiana, pp. 233-265
[7]   E. Bianchi, editoriale di Parole, Spirito e vita, quaderno n. 41, (2000)