pagina29Armando Matteo,
L’adulto che ci manca. Perché è diventato così difficile educare e trasmettere la fede
Cittadella Editrice,
Assisi 2014, p. 112

«Ecco dunque cosa manca nell’adulto che ci manca: la responsabilità
verso il mondo in cui ha introdotto i figli e la responsabilità
verso i figli che ha introdotto nel mondo»

Perché il messaggio evangelico non fa più breccia nel cuore delle giovani generazioni? Come mai sono così distanti dalle pratiche di fede e di preghiera? E le donne, da secoli fortezza e presenza silenziosa nella Chiesa, che fine hanno fatto? Perché iniziano anche loro a dileguarsi dal panorama delle nostre parrocchie? Che ne è stato del dialogo tra le generazioni?
Tante le domande che in questi anni nei suoi studi e nelle sue pubblicazioni Armando Matteo, teologo e assistente della FUCI dal 2005 al 2011, si è posto.
Le numerose questioni educative, culturali e pastorali sollevate in questi anni che hanno stimolato in noi e nella comunità ecclesiale così ampio dibattito e interrogativi, sembrano trovare però un comune denominatore nel tema scelto per la sua ultima fatica editoriale.
“L’adulto che ci manca” è la perfetta descrizione di un mondo adulto che non è più come quello di una volta, il ritratto di una generazione – in particolare quella nata tra il 1946 e il 1964 – che appare oggi incapace di educare e trasmettere ai più giovani i contenuti della fede.
Una generazione incatenata al mito dell’eterna giovinezza, incapace di mostrare ai più giovani la bellezza e l’affidabilità della vita adulta, una generazione di “Peter Pan” e “Campanellino” che «amano più la giovinezza che i giovani» (p. 20).
Il volume, agile e come sempre appassionante, oltre a riportare alcune delle riflessioni sviluppate da Armando Matteo in questi anni, è anche un’efficace sintesi di alcune delle ricerche e delle pubblicazioni più autorevoli sul tema condotte in questi anni da diversi studiosi: da Umberto Galimberti a Francesco Stoppa, da Massimo Recalcati a Franco Garelli, solo per citarne alcuni, senza dimenticare uno sguardo ad autori più classici, come Romano Guardini e Hannah Arendt.
All’idolatria della giovinezza tipica della nostra società corrisponde, paradossalmente, l’oblio dei giovani, sempre più ai margini della società e irrilevanti anche numericamente. Una generazione in panchina, fuori dal recinto (Castegnaro). E accompagnati da adulti «sempre meno all’altezza della loro esistenziale vocazione educativa e generativa» (p. 41).
Il quadro è lo stesso anche in campo ecclesiale, dove si riscontra una forte estraneità dei più giovani alla religione. Una triplice crisi: dell’autorità, dell’amore e del desiderio che rende sempre più difficile educare e trasmettere la fede. Un «deserto che cresce sotto la spinta di logiche neocapitalistiche e per nulla interessate all’umano e alla sua felice destinazione» (p. 104).
Eppure anche in questo scenario così complesso possiamo scorgere un orizzonte incoraggiante e di speranza nell’osservare come le giovani generazioni questo deserto stiano «imparando ad abitarlo diversamente, sfidandolo e affrontandolo con pratiche di nuova umanità». Perché «il deserto può sempre fiorire, annuncia il profeta biblico» (p. 104).
E allora anche la comunità ecclesiale è chiamata in questa prospettiva a giocare la sua parte e a cambiare rotta, facendosi carico di un nuovo compito: quello di rievangelizzare l’adultità.
Il merito di questo testo, così come dei precedenti volumi di Armando Matteo, è quello di non offrire soltanto un’analisi – seppur lucidissima – del contesto attuale ma di offrire altresì delle risposte, delle suggestioni, delle direzioni di lavoro e di impegno valide per il mondo adulto e per tutta la comunità ecclesiale. Riflessioni che chiamano in causa ciascuno di noi ricordandoci sempre che il vero antidoto ad ogni idolo postmoderno, come lo stesso Papa Francesco ci ha indicato, è uno soltanto: la «grande gioia di credere».

Silvia Sanchini