EDUCARE ALLA PACE

di Pietro Cossiga

FUCINO DELLA DIOCESI DI ROMA, STUDENTE DI PSICOLOGIA PRESSO L’UNIVERSITÀ PONTIFICIA SALESIANA

Per costruire una mentalità di pace debbo
partire da un’educazione a scuola,
come in famiglia, che sia per i bambini
un’esperienza di pace¹.

Si sente parlare sempre più frequentemente di educazione alla pace, necessità del nostro tempo, di fronte  agli eventi che stiamo attraversando e che ci portano inevitabilmente a dover ribadire il concetto. È un argomento che interessa in particolare gli educatori e coloro che sono consapevoli della propria responsabilità nei  confronti delle generazioni future. Occorre inizialmente precisare che quando ci riferiamo alla pace, non parliamo di “insegnamento della pace”, dal latino “insignare” ovvero “incidere, imprimere dei segni”, come se “la pace” fosse un codice da scolpire nella mente delle persone o fosse un testo da imparare a memoria, ma  di “educazione alla pace”. Il termine “educare” deriva dal verbo latino “educere” con il significato di “tirare fuori”, “guidare fuori”: chi educa ha il compito di aiutare l’altro a tirare fuori da sé il proprio meglio, tenendo sempre in considerazione come l’educazione non sia mai unidirezionale, ma sia sempre un “educere” reciproco, considerando i diversi piani e ruoli nella relazione educativa.

Educare significa anche “allevare”, quindi prendersi cura dell’altro. Il dialogo e la comunicazione sono quei mezzi che permettono di  prendersi cura di qualcuno.

L’educazione alla pace ha obiettivi sia a breve, sia a lungo termine. Soprattutto nel nostro tempo bisogna sottolineare come la pace sia un valore da dover coltivare costantemente,  non solo in quei momenti in cui è evidente la necessità. Educare alla pace gli studenti non significa solo fornire loro delle strategie da poter utilizzare contro la violenza, di  qualunque tipo essa sia, ma significa anche agire per una “prevenzione della guerra”  basata su interventi periodici, mirati e ricorrenti e sull’importanza della pace come valore  universale da coltivare sempre come stile di vita. Le guerre disumanizzano, poiché inducono l’essere umano a inibire l’empatia, quella capacità di comprendere le emozioni  dell’altro permettendoci di entrare nel suo vissuto personale. La guerra porta quindi ad  una inibizione delle capacità empatiche, a una spersonalizzazione del nostro essere inteso  come unione di ciò che per noi è bello, buono e vero. In quest’ottica l’educazione alla pace  si pone come processo di acquisizione di valori e comportamenti di pace verso sé stessi, gli altri e l’ambiente in cui si vive. Sono la risultante di un’interazione tra il desiderio e la  libertà, che anch’essi devono essere educati.

Educare il desiderio

L’educazione è una “via pulchritudinis” che significa in latino appunto “via del bello”; attraverso il percorso educativo si crea un processo che conduce l’educando a percepire il
bello, quindi a educare il suo desiderio². Giulio Cesare, nel De bello gallico, afferma che “il desiderio” viene da “desiderantes”, termine con cui vengono indicati i soldati che dopo la battaglia tornano al loro accampamento e aspettano che i loro compagni facciano ritorno. Ne deriva che l’educazione alla pace è questo desiderio, fatto di attesa, di speranza, che però deve essere educato³.

Gli educatori, dall’infanzia fino all’età adulta, possono usare le proprie capacità professionali per parlare di pace ai propri studenti e soprattutto per far fare loro esperienza di essa. Lo studio della pace cerca di alimentare quelle energie e impulsi che rendono possibile un’esistenza significativa, che migliori la vita. L’educazione alla pace nasce dall’educazione del desiderio della pace. Il desiderio della pace deve essere educato in quanto molte cose che desideriamo fare nella vita possono apparire ai nostri occhi come belle e accattivanti, ma dobbiamo verificare se queste siano per noi anche buone e vere. Occorre quindi ancor prima di educare alla pace, educare al desiderio (della pace) che comporta di conseguenza un impegno a educare alla bellezza, cioè a sviluppare uno spirito critico di fronte all’offerta della cultura mediatica, che offre tanti esempi di bellezza, ma non tutti vanno presi così come sono offerti. È necessario educare sé stessi alla bellezza, ad avere uno spirito critico nei riguardi di ciò che viene offerto come bello. Il senso del bello parte da ciò che ci circonda e ci interpella, ma proprio perché non tutto ciò che ci appare bello è anche buono e giusto per noi, è di fondamentale importanza  utilizzare lo spirito critico; quindi, ciò che ci appare come bello deve essere “vagliato” dal nostro intelletto per capire se è anche buono e vero per noi. L’intelletto percepisce ciò che ritiene essere bello, ci riflette sopra e cerca di capire se ciò che per lui è bello è anche buono. Potremmo di conseguenza domandarci quale sia il criterio per capire se una cosa è veramente buona o veramente bella per noi? Una cosa che ci appare bella è anche veramente buona e giusta per il nostro paradigma di vita se ci autorealizza, ovvero se ci aiuta a realizzare il nostro disegno di vita, ciò che noi siamo propriamente chiamati ad essere, che potremmo sintetizzare con il termine di “vocazione”. 

La via del bello risponde al più intimo desiderio di felicità, che è nel cuore di ogni uomo. L’educazione alla pace ha come obiettivo quello di ribadire l’obiettivo ultimo della nostra vocazione, ovvero comprendere di essere chiamati a realizzare la felicità.

Con il termine di “felicità” occorre precisare che non intendiamo una felicità che ci appaga immediatamente, ma qualcosa che ci soddisfa in profondità, che ci rende profondamente felici nel nostro essere.

Per comprendere ciò che ci rende veramente felici, dobbiamo fare riferimento al carattere dell’effimero, insito nella felicità. Se quella cosa, persona, relazione, esperienza ci ha reso veramente felici in un dato momento, ma tutto finisce dopo un minuto, giorno, mese,  parliamo di felicità effimera. La vera felicità dell’essere, non solo istantanea e fisiologica, può essere sperimentata solo quando perseguiamo la nostra vocazione, ovvero facciamo esattamente ciò per cui siamo stati creati. Un principio fondamentale in questo processo è il principio della grazia e dell’amorevolezza che don Bosco accentua nel suo sistema
educativo, in cui il principale obiettivo non è quello di cambiare la persona, ma aiutarla a fiorire nel suo splendore di una vita realizzata. Educhiamo alla pace quando educhiamo  questo desiderio e, soprattutto, quando questo si sposa con una educazione alla libertà. 

Educare alla libertà

Secondo Maria Montessori, un’educazione che ha come scopo la formazione di una mentalità di pace, dovrebbe favorire dei “comportamenti di pace” in educatori, insegnanti e genitori, comportamenti di condivisione, di generosità e, soprattutto, di rispetto. Sarebbe opportuno imparare a cooperare, piuttosto che stare in competizione, come spesso accade. Non comprendere che la  libertà ha limiti, principi e responsabilità presuppone in sostanza violare i diritti altrui. È un aspetto che si comprende bene, ma tuttavia, individualmente o collettivamente, ci si muove in bilico su quel confine, correndo il rischio di danneggiare gli altri nei modi più insospettabili. La libertà è ciò che spinge a eccedere e a sviluppare le proprie potenzialità.

Il primo passo da compiere per realizzare la pace è rendersi coscienti di dove ci si trova, tenendo sempre conto, come afferma Emmanuel Mounier, che «la persona si fa libera dopo aver scelto di essere libera».

Una persona sceglie di essere libera nel momento in cui sceglie di realizzare se stessa e dopo aver scelto si impegna per realizzarsi in pienezza secondo quelle che sono le sue libere scelte. All’interno di questo concetto possiamo distinguere tre forme di libertà: “la libertà da”, che consiste nell’essere liberi da tutti i condizionamenti esteriori; “la libertà di”, che è la libertà di realizzare qualunque cosa. Bisogna tenere presente che queste due libertà tendenzialmente vengono esasperate dalla nostra società. Ci viene detto infatti, che siamo veramente liberi quando possiamo fare ciò che vogliamo, quando nessuno ci dice ciò che dobbiamo fare. Paradossalmente, il non avere limiti rappresenta il limite più grande, perché è un’illusione che l’uomo utilizza su se stesso per nascondere il fatto che il suo essere corporeo è limitato, tendente al trascendente, ma limitato. Queste due libertà non sono le uniche che abbiamo a disposizione, forse quelle che ci vengono mostrate più frequentemente, ma che non permettono di vivere in maniera consapevole. Infatti, esiste una terza libertà che completa e supera le altre. Possiamo individuare “la libertà per”: si è veramente liberi quando si utilizza la propria libertà in vista di qualcosa che realizza pienamente me e coloro che mi circondano. La vera libertà è una libertà per, cioè una libertà orientata verso qualcosa, che si basa su impegno e una scelta, che deve essere etica, radicale e libera, come nella concezione kierkegaardiana⁹. In questo panorama possiamo quindi dire che la persona libera non è quella caratterizzata da una condotta difficilmente ipotizzabile, come potremmo pensare abitualmente, poiché se una persona è libera di fare ciò che vuole, è difficile capire ciò che farà. Spesso non si vuole vedere la verità che è davanti ai nostri occhi. È la prevedibilità della scelta a connotare la libertà di una persona, poiché quanto più una persona orienta la propria vita verso un ideale, verso qualcosa che ha scelto, tanto più la sua condotta è prevedibile. La persona realmente libera è quella che conserva la propria condotta originaria in tutte le scelte, poiché compie quelle scelte in funzione dei valori che ha deciso di seguire come bussola della propria vita. Il comportamento di una persona libera è quindi facilmente prevedibile, una volta che viene definito il fine che vuole raggiungere. Secondo Jacques Lacan¹⁰, il nostro tempo è avvolto da una distorsione secondo cui la vera libertà è rappresentata dall’assenza del limite; la libertà può fiorire solo dal rapporto del desiderio con la legge. Il limite, rappresentato dalla legge e dalle regole, caratterizza una vera libertà, poiché è in grado di creare il desiderio. È proprio la presenza del confine, del limite, che porta alla nascita ardente del desiderio, come afferma s. Paolo di Tarso, «se c’è un limite nasce il desiderio».

Risulta quindi che per educare alla libertà bisogna insegnare parallelamente attraverso un esercizio costante, ad avere senso critico di responsabilità, da adottare sistematicamente attraverso la riflessione, l’ascolto e il dialogo¹¹.

Educare alla responsabilità

Il senso di responsabilità presuppone buon senso, onestà e impegno sociale. In linea di massima, però, quando si trasmette questo valore, lo si fa con un eccesso d’individualismo e persino di narcisismo. Ci viene insegnato, per esempio, a essere responsabili per le cose che ci appartengono, a evitare comportamenti che possano danneggiare o mettere in pericolo noi stessi e anche di avere
rispetto per gli altri. In realtà, però, nessuno di questi concetti è del tutto coerente con il vero significato di responsabilità. Essere responsabili non significa solo rispettare gli altri, ma anche promuoverne il benessere e aver sviluppato una maturità integrale che sia in grado di avvolgere le varie dimensioni di una persona¹². Educare alla responsabilità comporta “l’attivazione del ciclo del benessere” che si basa sul riconoscimento del valore positivo delle 3P – Piacere, Possesso, Potere – e sullo sviluppo delle 3C – Contentezza, Condivisione, Cooperazione. Il ciclo del benessere promuove nell’individuo tre processi di crescita: «l’individuazione, la relazione, l’interdipendenza». Tutti questi fattori sono importanti per lo sviluppo naturale dell’uomo, e così facendo si educa alla responsabilità. La pace non è assenza di conflitto; quest’ultimo è una componente inevitabile della vita quotidiana, la differenza sta nel modo in cui si affronta il conflitto. La pace consiste nell’affrontare i conflitti con responsabilità, in maniera creativa, prendendo sempre in considerazione i propri interessi e quelli dell’altro. È necessario utilizzare la strategia «win-win»¹³, in cui le persone coinvolte nel conflitto si impegnano a ricercare insieme una soluzione accettabile per entrambe: l’obiettivo è uscire dal conflitto in cui entrambe sono vincitrici e nessuna subisce il potere dell’altro. La risoluzione di un conflitto è quindi pacifica se i partecipanti vogliono cooperare in modo più completo e si trovano  nella condizione di poterlo fare. Gli interventi educativi più determinanti per poter aprire un discorso coinvolgente sulla responsabilità dovrebbero concentrarsi sulla crescita della maturità della persona. Per agire pedagogicamente in questa direzione occorre avere chiaro cosa significa essere maturi. 

Educare alla pace è un’educazione alla vita, costante e duratura, possibile a partire dall’educazione del desiderio alla pace e, con esso, dalla ricerca della bellezza nella nostra vita. Educare il desiderio alla pace porta quindi a riconsiderare il principio della libertà, che anch’esso nella nostra società deve essere educato con lo scopo di evitare distorsioni illusionistiche irreali.

È proprio quando comprendiamo di essere limitati, che scopriamo il desiderio più intimo della nostra vita. L’uomo deve essere consapevole del proprio fine ultimo, ciò per cui è stato creato, la sua vocazione.

  1. M. Montessori, Educazione e pace, Garzanti, Roma 1949.
  2. Pontificio Consiglio della Cultura, La Via Pulchritudinis. Cammino privilegiato di evangelizzazione e dialogo, 2006; cfr. Tommaso d’Aquino, L’essenza della beatitudine.
  3. M. Recalcati, La forza del desiderio, Edizioni Qiqajon, Magnano (Bi) 2014.
  4. C. Ciferri, Chiamati a rilanciare il patto educativo globale, Las, Roma 2021; Id., Educare alla responsabilità. La relazione educativa con gli adolescenti come philosophical practice, Las, Roma 2020.
  5. S. Giovanni Bosco, Il sistema preventivo nella educazione della gioventù, 1877.
  6. M. Montessori, Educazione e pace, Garzanti, Milano 1949.
  7. E. Mounier, Existentialist philosophies. An introduction, Macmillan Company, Londra 1948.
  8. L. Becchetti, Sviluppo e vero benessere. Le tre libertà, in «Avvenire», 6 febbraio 2013.
  9. S. Kierkegaard, Aut-Aut, Mondadori, Milano 2016. La ricerca etica per Kierkegaard non consiste nella ricerca dell’inedito, ma si fonda sulla scelta ripetuta del proprio compito. L’individuo agisce secondo un comportamento normale, inteso come non eccezionale.
  10. F. Chaumon, Jacques Lacan. La legge, il soggetto e il godimento, Ets, Pisa 2014.
  11. M. Montessori, Educazione e pace, Garzanti, Milano 1949. «In ambito educativo la libertà di scegliere le attività consente al bambino di fare più cose diverse nello stesso momento, permettendo la nascita di un comportamento responsabile e autonomo. L’adulto non si sostituisce al fare dell’educando, ma ha il compito di facilitare la sua relazione con l’ambiente, accompagnandolo nella crescita della vita e indirizzandolo verso il riconoscimento del bello, buono e vero nella sua vita. La libertà di scelta è fondamentale perché consente al bambino di seguire il proprio programma interiore».
  12. A. Ricci, Z. Formella, Educare insieme nell’era digitale, Elledici, Torino 2018.
  13. A. Melloni, Il Papa e le due Europe, in «Repubblica» (23 marzo 2022).