di Giuseppe Tognon *

Al giorno d’oggi  abbiamo un’ idea dell’universalità che è spaziale o sociologica, modellata sulla globalizzazione delle informazioni, delle merci e delle persone. Ci convince un uso debole di «universale» come aggettivo mentre ci troviamo in grave impaccio nell’uso di «universalità» come sostantivo. Certo, non siamo più da tempo in un’ epoca delle sostanze metafisiche, ma è pur vero che anche solo un secolo fa sarebbe stato difficile immaginare  lo spettacolo di macerie a cui si è ridotta l’ «enciclopedia universale delle scienze». Anche tra gli scienziati e i matematici sono pochi coloro che ancora difendono il mito ottocentesco della scienza come sapere universale o come unico sapere che non dipende dalle “forme sociali e che è eterno come la natura umana”[2], un mito  che ha affascinato studiosi di ogni religione e di ogni cultura. Si è trattato di un’ enorme illusione, che purtroppo resiste nella mente di alcuni ultimi opinionisti e scienziati che non accettano l’idea che anche la scienza, e al suo interno perfino la matematica – la forma più astratta del sapere – sia qualche cosa di costruito all’interno di culture molto diverse tra loro e dunque di non unitario e tanto meno di assoluto. Quanto all’unità della scienza, così arditamente progettata fino all’inizio del XX secolo, questa resta una pura petizione di principio  di fronte allo specializzarsi e al frammentarsi degli ambiti scientifici, sia per quanto riguarda i sistemi organizzativi che i metodi investigativi. […]

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* Università di Roma LUMSA