L’itinerario di Joaquin Ruiz-Gimenez è emblematico della vicenda nazionale spagnola verso la transizione democratica.
Ruiz-Gimenez, nato nel 1913 da una famiglia dell’alta borghesia madrilena (il padre, liberale, fu due volte ministro e quattro volte sindaco di Madrid prima del franchismo), partì da un’adesione sincera e idealista al regime franchista, nel cui campo combatté la guerra civile, e, nel quadro di limitata apertura post-bellica, in cui esso cercava di distinguersi dai regimi totalitari di destra sconfitti e di rientrare in gioco nel quadro della Guerra Fredda, diventò prima ambasciatore presso la Santa Sede dal 1948 e, quindi, Ministro dell’Istruzione tra 1951 e 1956.
In precedenza, nel 1939, era diventato presidente internazionale degli universitari cattolici Pax Romana/Miec durante il congresso svoltosi negli Usa nei giorni in cui iniziava il secondo conflitto mondiale e aveva quindi svolto un’intensa e apprezzata attività internazionale, compreso il successivo congresso internazionale in Spagna del 1946 in cui terminò il suo mandato, con 300 delegati di 32 Paesi, cosa che lo rendeva particolarmente prezioso per il desiderio di rilegittimazione del Regime nel nuovo quadro internazionale.
Gli anni italiani, però, problematizzarono in mood decisivo il giudizio di Ruiz-Gimenez sul Regime. Si trovò a conoscere non solo mons. Montini, ma anche due dei suoi più stretti amici, l’esule antifranchista catalano, animatore di Pax Romana, Ramon Sugranyes De Franch e Jacques Maritain, collega ambasciatore di Francia presso la medesima Santa Sede, bestia nera dei franchisti spagnoli per i suoi giudizi critici sull’intreccio strumentale tra religione e politica nella Guerra Civile.
Da ministro Ruiz-Gimenez tenta una limitata apertura culturale ad autori non allineati al Regime, come Unamuno e Ortega y Gasset. Il suo rifiuto di reprimere le prime significative proteste studentesche portò nel 1956 alla sua revoca da Ministro e, pur restando deputato nella camera corporativa del Regime, gli tolsero molte illusioni sulla possibilità di una liberalizzazione del Regime dall’interno e lo spinsero a dedicarsi soprattutto all’insegnamento universitario. Tra le poche prese di posizione si segnalano quelle alla Camera nel 1961 contro il già influentissimo Carrero Blanco, esponente dell’ala immobilista del Regime e del gruppo dei cosiddetti tecnocrati dell’Opus Dei, che voleva istituire un giuramento obbligatorio per i funzionari pubblici sui principi fondamentali del partito unico e quella nel 1963 contro l’istituzione di un Tribunale speciale per l’ordine pubblico. Cominciò anche come avvocato a perorare la causa di alcuni dissidenti politici, tra cui il dirigente comunista Grimau, che, nonostante questo, fu condannato a morte e quindi ucciso dal Regime nello stesso 1963. Anno di svolta perché Giovanni XXIII lo nominò uditore laico al Concilio insieme a Sugranyes De Franch e si trovò quindi di fronte a una nuova esperienza romana e universale. A partire dall’enciclica giovannea Pacem in Terris e dai lavori del Concilio, in particolare sulla costituzione Gaudium et Spes, Ruiz-Gimenez si convinse della superiorità delle democrazie occidentali, maggiormente capaci di riconoscere i diritti umani e il necessario pluralismo sociale e delle istituzioni, ritenendo ormai datate le istituzioni del nazionalcattolicesimo franchista.
Al ritorno in Spagna fondò quindi la rivista “Cuadernos para el dialogo” di ispirazione montiniana sul piano ecclesiale e democristiana di sinistra sul piano politico.
Il suo stile personale, come sa bene chi ha avuto la fortuna di conoscerlo anche per poco, come è successo a me ad Assisi nel 1997 ad un convegno organizzato dal Meic, era più quello di un animatore culturale, di coscienza morale, di grande suscitatore di energie morali che non di un politico tout court. Appariva per certi versi più “politico” di lui, nel senso alto, il cardinale di Madrid Tarancon, l’altro grande montiniano della transizione, che gestì in anticipo la defranchizzazione della Chiesa spagnola e che, proprio per evitare di ricadere in rapporto troppo stretto tra Chiesa e politica, non ritenne opportuno favorire la nascita di un partito democristiano. Anche questo spiega il fallimento della terza breve fase della vita politica di Ruiz Gimenez, la presentazione di una lista democristiana, caratterizzata in senso molto laico e di sinistra (il gruppo di Ruiz Gimenez dentro quella lista si chiamava “Sinistra democratica”) alle prime elezioni del 1977, dove ricevette anche l’appoggio in vari comizi di Moro e Zaccagnini. I cattolici più conservatori optarono per l’Ucd o per l’Ap di Fraga Iribarne (che poi sarebbe diventata il Pp), quelli più progressisti, comprese le più giovani leve di Pax Romana, pur allieve dirette di Ruiz-Gimenez, a cominciare dal costituzionalista e futuro presidente della Camera Gregorio Peces Barba, scelsero il Psoe.
Arrivato al potere Felipe Gonzalez, il Psoe lo propose nel 1982 con un largo accordo per ricoprire la carica di Difensore civico nazionale, prevista dalla Costituzione e non ancora resa operativa, carica congeniale alle sue caratteristiche, che svolse fino al 1987.
Peces Barba su El Pais nel 2009, al momento della sua morte, lo ha definito «un sognatore per un popolo» e ha ricordato le tre condizioni che pose a tutti per collaborare ai Cuadernos: «Un mutuo rispetto personale, un’attenta sensibilità per tutti i valori che danno senso alla vita umana e uno sforzo comune per costruire un mondo più libero, più solidale e più giusto». Non è quindi un caso se la transizione spagnola sia stata poi non violenta e relativamente rapida.