di Andrea Michieli *

L’università italiana è in stato confusionale. Ci sono tanti fattori che hanno condotto a questa condizione e che affronteremo in questo numero. Un effetto immediato di questo stato è l’incapacità del “tempio del sapere” di guardare lontano, di generare cultura e di fornire agli studenti strumenti per affrontare le sfide del presente. È un giudizio duro, ma vuole aprire alla speranza di un cambiamento lungimirante del sistema d’istruzione in un periodo di molteplici, forse eccessive, riforme.

tognon

L’osservatorio che la rivista e la Settimana dell’Università rappresentano è il segno di un costante monitoraggio degli effetti del Processo di Bologna sui nostri Atenei. Il binomio internazionalizzazione degli studi – universalità del sapere in questo dibattito rimane il meno esplorato. L’internazionalizzazione infatti sembra essere il sinonimo di omologazione, più che di circolazione del sapere; la strada dell’universalità è abbandonata ai ristretti campi della (iper)specializzazione. In questo stato confusionale è sempre più evidente l’urgenza di occuparsi dell’Università come luogo di didattica e ricerca con la consapevolezza che l’università e la scuola non sono amministrazioni pubbliche come le altre. Non lo sono perché hanno un particolare fine e uno speciale ambito di relazione di cui prendersi cura: la formazione della persona e della cultura. Non possiamo pertanto ricondurre tali istituzioni a criteri di efficienza-efficacia in riferimento ai fini descritti; esse inoltre non possono soggiacere a semplice calcolo di economicità per ciò che concerne i mezzi. La cultura sta al di là di quello che l’economia secondo le regole di mercato può valutare utile.

L’intendimento di un tale cantiere però non può ridurre le problematiche sul futuro dell’università solamente a questioni organizzative (pur serie, gravi e urgenti, come il mancato finanziamento al Fondo ordinario, la ripartizione errata delle poche risorse disponibili …). Ciò che sembra mancare oggi è un’idea di università, un’idea – soprattutto in Europa, culla della cultura universitaria – di cosa possa essere e servire quest’istituzione nel XXI secolo.

Tre parole possono costituire le direttrici per il futuro dei nostri Atenei. Esse rispondono alle domande di fondo sul contenuto, sul metodo e sul significato di fare e vivere la cultura oggi.

Universitas corrisponde al contenuto del percorso universitario. Dobbiamo tornare a concepire gli studi non solo come momento di apprendimento tecnico di strumenti, ma soprattutto di ricerca e scoperta dei significati degli strumenti proposti. Il progetto didattico per gli studenti dovrebbe essere un percorso di autonomia e dialogo per costruire una weltanschauung, una visione del mondo, creativa e sempre rinnovata.

Communitas sta invece al metodo da adottare. L’università è relazione poiché il sapere nasce nell’interazione tra maestro e discente e tra studenti. Partire da questa consapevolezza significa deprecare ogni forma di marginalizzazione della didattica e, anzi, valutare positivamente le forme di valutazione che aiutano a migliorare la vita universitaria.

Societas infine individua l’apertura finalistica degli studi. Non si studia per sé; l’università non può ridursi ad assecondare l’aspirazione egoistica e lobbistica di alcuni contro altri. L’università è il luogo in cui ricercare soluzioni originali per la società e nel quale sviluppare un dialogo critico, ma fecondo con tutte le espressioni sociali.

La cultura contemporanea, segnata dalla caduta delle ideologie, e la società, sfilacciata e liquida in cui viviamo, hanno fame di pensiero critico, hanno fame di università. A noi il compito di proporre l’idea (teorica) e le idee (pratiche) per sviluppare una “coscienza universitaria” responsabile dell’Università futura.

* Condirettore di «Ricerca»